Twitter secondo Elon Musk

In questo post raccoglierò (senza fretta) la storia dell’evoluzione di uno dei più importanti social network dalla sua origine fino all’avvento di Elon Musk che lo ha acquistato per farne uno strumento di propaganda politica in vista delle prossime elezioni americane. Come spesso accade i fatti precipitano in maniera improvvisa e questo è accaduto più volte dall’acquisto di Elon Musk.  Mantenere la memoria credo sia necessario specialmente parlando di un personaggio che suscita in molte persone un’immenso entusiasmo e poi anche immense delusioni e che è non lineare.

Quelli che seguono sono appunti in completamento

 

 

L’idolatria al primo posto

Dal mese di maggio i post di Elon Musk appaiono sempre per primi per tutti gli utenti. Questo avviene per ogni post di Musk. Allo stesso modo vengono evidenziati all’inizio i post di persone che lodano Musk e che lui approva con un meme o una breve frase.

 

La notte della follia

Nella serata del 01.07.2023 una sequenza di post di Elon Musk creano scompiglio e forti critiche. Annuncia di voler applicare delle restrizioni al numero dei post visualizzati: Durante la notte cambierà più volte opinione e cercando di ironizzare cercherà di stemperare le follie estemporanee.

 

 

 

 

02.07.2023 – 15:00 – In Italia appaiono pareri diversi sul tema. Uno di questi è quello di Giacomo Lucarini (linkpermalink)

Bisogna spesso attendere che lo faccia involontariamente, ma ogni tanto Elon Musk ha delle buone idee/provocazioni costruttive.
Quello di mettere dei limiti al numero di contenuti visualizzabili sui social media sarebbe un aggiornamento niente male.
Se vogliamo dirla tutta, sarebbe figo anche mettere un limite alla quantità di contenuti che si possono pubblicare sulle piattaforme.
Questo perché la gratuità (percepita, ma questo è un altro lungo discorso) va sempre a discapito dell’utilizzo sano.
Esattamente come per un all-you-can-eat, i social media “aggratis” fomentano l’utilizzo bulimico, la dilatazione del tempo di permanenza, la mancanza di selezione ragionata delle fonti, fanno abbassare la guardia a livello emotivo e empatico.
Non siamo esattamente una specie famosa per sapersi mettere dei paletti per migliorare le proprie condizioni (fosse anche come usare meglio il tempo libero).
Quindi, ironicamente, a piantare il paletto potrebbe essere una multinazionale con l’unico interesse di spillarti più soldi dopo averti reso dipendente (ricorda qualcosa?).
Cosa sono meglio, due miliardi di utenti scrocconi o mezzo miliardo di utenti che pagano un obolo mensile?
Infine, è bene ricordarlo: noi per le piattaforme social siamo solo minuti passati davanti agli schermi da rivendere agli inserzionisti, occhi che guadano e dita che digitano, spesso senza pensare, spesso senza costruire niente di utile per la nostra vita.
Anche chi fa una selezione serrata di cosa vedere, in balia dell’algoritmo si trova a navigare tra contenuti clickbait, polarizzanti, superficiali, spam, fuorvianti, dannosi.
Contenuti che raramente danno qualcosa all’utente ma servono a chi li crea per lucrarci su – in modo più o meno degno.
I minuti giornalieri che mi sono dato per stare su Facebook stanno per finire, me ne lascio qualcuno per i commenti.


UPDATE 10.01.2023 – Dal Corriere

Ronaldo filopalestinese e raid dai videogame. Appelli a Elon Musk:
«Basta fake news» di Micol Sarfatti Corriere (linkpermalink)
Il commissario Ue Breton ha inviato una lettera al patron di X in cui lo diffida dal diffondere «contenuti illegali»

C’è un conflitto reale e ce n’è uno virtuale. La guerra tra Israele e i palestinesi da ormai 15 anni, cioè da quando sono arrivati, si combatte anche sui social media. Tra fake news, profluvio di immagini, vere e finte, e polarizzazioni. Gli hashtag sul tema ottengono milioni di visualizzazioni, i post, spesso, si riducono a proclami di tifosi. Qualche influencer cavalca il tema per inserirsi nel dibattito e aumentare le sue interazioni: Israele e Palestina ridotti a trend topic.

Nelle ultime ore ha fatto discutere quanto accaduto su X (già Twitter). Dopo la scalata di Elon Musk le regole sono cambiate: la piattaforma spinge i contenuti degli utenti che pagano l’abbonamento premium a 8 dollari al mese e hanno acquistato una spunta blu, mentre gli account verificati di fonti affidabili sono penalizzati. Molti dei dipendenti impegnati nel fact checking sono stati licenziati, le policy di sicurezza sono cambiate.

«L’attacco a Israele era il primo vero test per il Twitter di Elon Musk ed è clamorosamente fallito», ha detto a Bloomberg Mike Rothschild, studioso di teorie del complotto e fake news. La Ue ha inviato al patron di X una lettera, firmata dal commissario del mercato unico Thierry Breton, in cui lo diffida dal diffondere «contenuti illegali e disinformazione» e chiede di rispondere alle contestazioni che gli sono state mosse in 24 ore minacciando anche sanzioni. Il giornalista della Bbc Shayan Sardarizadeh, esperto di debunking, ha postato una impressionante sequenza di immagini false. Una schermata del videogioco Arma 3 è stata spacciata per un attacco aereo di Hamas, un video girato al Cairo lo scorso settembre è diventato un lancio di terroristi-paracadutisti sul suolo israeliano. Una bimba bionda sorride davanti a uno schermo, la sovrasta un piccolo cuore spezzato, è un ostaggio. Non è vero: è solo la protagonista di un video postato su TikTok tempo fa e non ha nulla a che fare con l’attacco del 7 ottobre. Pioggia di razzi di Hamas? No, è un video della guerra in Siria del 2020. Cristiano Ronaldo sventola una bandiera palestinese, ovviamente non è mai accaduto. È uno scatto manipolato del calciatore marocchino Jawad El Yamiq ai mondiali del 2022. Come se non bastasse lo stesso Musk ha suggerito di seguire la crisi mediorientale sugli account @WarMonitors e @sentdefender. Alcuni tra i suoi 160 milioni di follower gli hanno però fatto notare che si trattava di profili antisemiti, pronti a trasformare la parola «ebreo» in un insulto e a parlare di «potere sionista in banche e media».

Non va meglio su TikTok, social cinese con 1,7 miliardi di utenti globali. Qui si moltiplicano i video che inneggiano alla propaganda palestinese, ripostati anche da giovanissimi, europei o americani. L’hashtag #freepalestine colleziona 12,7 miliardi di visualizzazioni. In Germania la Verfassungschutz, l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, un servizio di intelligence interno, ha lanciato un allarme sulla diffusione dell’antisemitismo online e sulla «Tiktokizzazione del Salafismo». Le brevi clip postate da alcuni dei predicatori e imam più famosi di Berlino diventano virali e sono in grado di innescare una catena di radicalizzazione tra i ragazzi di origine araba.

«È chiaro chi sia l’aggressore. È Israele», scandiva sabato Mohamed Matar, imam della moschea Dar as-Salam di Berlino, prima che il suo profilo venisse chiuso. «Adoro vedere queste cose», ha scritto il salafita Arafat Abou-Chaker, 250 mila follower su Instagram e 62 mila su TikTok, riferendosi a una mappa di Israele in cui erano segnalati gli attacchi di Hamas. Messaggi pericolosi, soprattutto per i milioni di giovani che si informano solo qui e con poca, se non nulla, conoscenza del contesto.

 

14.10.2023 – Le note della Collettività (post)

 

15.10.2023 – Si è permesso ad un account fake di avere il bopllino blu ingannando moltissime persone in un momento delicatissimo come il conflitto Israelo-Palestinese dell’ottobre 2023