Ho recuperato in questi giorni gli atti di un convegno a cui avevo partecipato nel giugno del 1991 dal titolo “La città interattiva”. L’incontro, organizzato dalla Facoltà di Architettura di Milano del Politecnico di Milano organizzato dal Prof. Alessandro Polistina mirava a raccogliere le esperienze dei tre anni precedenti sul concetto di trasformazione della città grazie alle tecnologie della rete. Si avete capito bene, nel 1988 si parlava già di città cablate e servizi digitali. Non era Internet ma qualcosa di molto simile. Le idee erano chiare, le tendenze globali segnate. Eppure da quel momento non si è fatto nulla, proprio nulla. È da chiedersi perché adesso le “smart cities” dovrebbero avere più successo. Proviamo ad analizzare le cause del mancato sviluppo. Abbiamo detto che le idee c’erano, le tecnologie pure ma è mancata nel nostro paese la determinazione e volontà politica. Quando si parla di città ci dobbiamo per forza concentrare sulla decisione politica, amministrativa e pubblica. Il driver per una scelta politica in Italia è sempre stata la corruzione, la tangente, la possibilità di poter gestire il potere (come i posti di lavoro). Le tecnologie digitali abilitanti creano, proporzionalmente, poco lavoro ma specialmente non sono territoriali e locali quindi non si può sfruttare a fini elettorali la melma politica generata. Quindi ai politici la digitalizzazione finora non è interessata. Pensare poi di immettere nella melassa del sistema burocratico strumenti in grado di far sapere a tutti i livelli di inefficienza è stato da tutti, sindacato per primo, ostacolato.
Adesso le “smart cities” hanno qualcosa di diverso: innanzitutto fondi europei molto consistenti e questo è il primo punto, il secondo è che la città intelligente viene percepita da alcuni decisori politici come un’occasione di personal marketing politico nei confronti dei cittadini. Questo potrà forse agevolare. Tempi previsti? Non meno di una ventina d’anni per vedere i primi tangibili risultati, al netto della crisi.
Ma rimane il problema di fondo. Le città le devono progettare e riprogettare gli urbanisti non gli informatici e men che meno i blogger intesi come “commentatori della realtà“.
Infatti all’estero a parlare di “smart cities” sono appunto gli urbanisti, i sociologi e gli ingegneri e tutti coloro che per mestiere curano lo sviluppo e la crescita della città. Da noi vedo troppi fuffologi che manco sanno esista Manière de penser l’urbanisme.