Ho trovato questo articolo di Sergio Noto, Ricercatore nella Facoltà di Economia dell’Università di Verona, particolarmente interessante. Si discute da tempo sulle metodologie di selezione all’università ed è chiaro che non viene indagata la vocazione, l’interesse, la predisposizione dello studente per me discipline che vuole studiare. I dati sono sconfortanti: sono in aumento dalla fine degli anni ’90 il numero degli studenti che cambiano facoltà appena pochi mesi dopo l’iscrizione, al primo intoppo. C’è da riflettere.
L’impressione è che il tema non interessi quasi a nessuno, poco agli studenti che tra breve termineranno le scuole superiori, nulla o punto a chi ha responsabilità nel settore. È vero, ogni tanto circola sui giornali qualche dato tranquillizzante, ma il fatto è che l’istruzione fa acqua da tutte le parti e da tempo ha dimostrato di non riuscire a produrre né forza lavoro qualificata, né soprattutto classe dirigente. Ma nessuno se ne dà pensiero, prevalentemente perché gli stessi che oggi dovrebbero curare la malattia sono stati i diffusori del morbo. I giovani vanno capiti, non possono essere affascinati da un tema così generale. Nel frattempo la situazione è divenuta insostenibile sul piano politico, su quello economico e su quello etico-civile. Certamente ci siamo fatti del male per non aver offerto alla società personale qualificato, ma il danno più grave l’abbiamo fatto preparando una classe dirigente dannosa nell’affrontare i problemi di sua competenza. E temiamo che prolungando questo presente il futuro dei nostri giovani possa essere triste. Partiamo con un esempio.
A breve molti ragazzi anche nel Veneto si presenteranno ai test d’ammissione delle facoltà più ambite, Medicina, Ingegneria e altre. A questi non sarà richiesta alcuna attitudine particolare nei confronti della disciplina che andranno a studiare e poi – presumibilmente – ad esercitare. Per essere ammessi a un corso di studio che potrebbe segnare la loro vita, saranno richieste solo conoscenze di tipo mnemonico-tecnico. La selezione avverrà attraverso quiz puramente nozionistici, favorendo gli studenti che già nella fase di preparazione alle superiori abbiano scelto indirizzi di studio tecnicizzanti. In altre parole, conoscere molto, capire poco (K. Marx: «Fachidiot »). A conferma che l’università e la scuola non danno importanza alle capacità di critica e sintesi, con i risultati sotto gli occhi di tutti: una crisi economica causata da esperti che non sapevano una virgola al di fuori dell’orticello dei loro tecnicismi, il crollo verticale dell’etica professionale di avvocati, notai, commercialisti, docenti universitari, ingegneri, medici e quant’altro. Da tempo lo studio anche di alto livello è divenuto più che altro apprendimento mnemonico. Pochi libri, programmi ristretti, scarsa possibilità di scelta, nessuno stimolo per alimentare interessi originali. Eppure, tanto per fare un esempio, nessuno dei grandi economisti è divenuto tale studiando solo l’economia. L’università di oggi invece continua ad essere il luogo dove si percorrono binari già tracciati, non dove ognuno può trovare la propria strada.
Vietato imparare a distinguere, a ordinare secondo importanza e sensibilità, conta solo ripetere. Lungi dal demonizzare le conoscenze tecniche ci permettiamo di ricordare che tecnico è colui che fa funzionare la radio, non colui che sa come funziona. I tecnici non sono in grado di prevedere quali impianti ci serviranno tra venti o trenta anni. Così non sappiamo nemmeno se ci sarà un futuro per i nostri laureati. Il Paese certamente ha bisogno di ottimi tecnici per determinate posizioni. Ma per altre non può più rinunciare ad avere giovani che non abbiano paura del nuovo, capaci di scoprire e innovare proprio là dove non esistono ancora soluzione tecniche. L’innovazione, che spesso è sulla bocca dei molti, non è un gioco facile, ma è addirittura impossibile se proprio il sistema educativo rinuncia a preparare alla critica e all’autonomia intellettuale.
P.S. Questo documento riporta “riproduzione riservata”. Rispetterò il copyright quando lo farà anche il Corriere che prende a piene mani dalla rete e da YouTube, infarcisce il tutto di lucrosa pubblicità e non cita le fonti.