La crisi di identità del giornalismo, la dicotomia tra un mondo che informa in tempo reale senza intermediazioni e reinterpretazioni e il giornale che esce già vecchio e superato, sta mettendo a dura prova gli istinti più bassi di certo giornalismo di provincia. Un giornalismo che da sempre si è nutrito di storie da buco della serratura, di pettegolezzi di paese, di incidenti stradali, di disgrazie, di invidie sociali e personali, di racconti diffamanti pur di far notizia, trovando nelle cene pagate dai politici locali la maggiore fonte di ispirazione e di notizie. Adesso che la rete sta spazzando via il giornalismo di carta, buttarsi nelle rete e guadagnare con i banner e le ADV è diventato difficile. Specialmente per chi non sa farlo.
Quindi al giornalismo, già di basso livello, si sono inventati dei modi al limite della liceità per ottenere più click, più soldi.
Andando quindi a ravanare sulle immagini morbose, sulle storie assurde, sulla più bassa informazione, quella di pancia e spesso ancora più giù.
Un buon esempio viene da Il Gazzettino che, in caduta verticale nelle vendite in edicola (perdendo oltre un quarto dei lettori in quattro anni), in poche ore inanella due bellissimi esempi da utilizzare nei corsi di non-giornalismo.
Si inventa e utilizza due modi vergognosi per cercare di accalappiare lettori, ovviamente nella fascia più bassa, incolta, occasionale e boccalona.
Il primo scrivendo nel titolo e nei TAG “filmino hard Gabanelli” in una articolo che parla d’altro.
Il secondo nella pagina Facebook Ufficiale nella quale pubblica una finta lettera razzista contro i calabresi facendo credere sia vera e rimandando le spiegazioni in un link ovviamente zeppo di sponsor.