Il Surimono rappresenta la forma più raffinata dell’arte della stampa giapponese, l’evoluzione più ricercata dell’Egoyomi (calendario stampato).
La parola Surimono significa semplicemente “oggetto dipinto”.
In Giappone, nel Settecento durante il periodo Edo, la tecnica della stampa si trasformò consentendo di realizzare stampe interamente colorate (nishiki-e). Alla metà del Settecento la tecnica subì ulteriori evoluzioni; grazie alla crescita della domanda riconducibile a una committenza interessata all’acquisto di stampe prodotte in poche copie e più raramente come prove uniche, vennero impiegate carte più spesse e di qualità superiore, colori più variati e una nuova tecnica di stampa (karazuki).
Queste stampe venivano commissionate agli artisti dalle persone più raffinate e in particolare dai poeti o da gruppi di poeti in occasioni speciali o per utilizzarle quali doni in coincidenza dell’inizio del nuovo anno.
Risultato della collaborazione tra l’artista e il poeta, spesso il Sirinomo contiene scritti che alludono alle caratteristiche dell’anno che annunciano o testi che spiegano il contenuto della stampa.
L’intreccio e il dialogo tra raffigurazione e scrittura costituiscono una delle caratteristiche principali del Surimono.
L’interesse che Frank Lloyd Wright nutrì per tutta la vita per l’arte giapponese è noto e cenni al riguardo vengono forniti qui di seguito.
La sua attività di collezionista di Surimono, però, è divenuta nota soltanto ben dopo la sua morte (1959), quando dagli archivi della Frank Lloyd Wright Foundation di Scottsdale (Az.) è emersa una scatola di legno sino ad allora ignorata contenente più di settecento stampe, cinquecento circa della quali classificabili come Surimono.
Questa raccolta è una delle più cospicue esistenti al mondo e offre la migliore possibilità, data la varietà, l’ampiezza e la qualità delle opere che contiene di studiare l’arte del Surimono.
La collezione dei Surimono di Wright, comprendente i settantacinque esemplari che ora vengono esposti a Casabella Laboratorio, venne presentata al Phoenix Art Museum nel 1995. In quell’occasione venne stampato il catalogo di Joan B. Mirviss, The Frank Lloyd Wright Collection of Surimono.
In una delle conversazioni con le quali era solito intrattenete gli ospiti nella sua casa-studio di Taliesin (Spring Green, Wisconsin), commentando per loro alcuni pezzi della sua collezione di arte giapponese, ancora nel 1954 quando aveva ormai superato gli ottanta anni, Wright affermò: «Non vi ho mai confidato sino a che punto le stampe giapponesi sono state per me fonte di ispirazione. Non mi sono mai liberato dall’effetto prodotto dalla prima impressione che mi procurarono e probabilmente non me ne libererò mai. Era l’incedere della grande dottrina della semplificazione, dell’eliminazione di tutto ciò che è insignificante».
A questa dottrina Wright si mantenne fedele sin da quando alla fine dell’Ottocento a Chicago iniziò ad interessarsi alle stampe giapponesi, alla cultura e all’arte del Giapponese.
Questo interesse lo portò a compiere sette viaggi in Giappone tra il 1905 e il 1922. Tra il 1917 e il 1922 egli si trattenne in Giappone per trentaquattro mesi, durante i quali costruì tra l’altro l’Imperial Hotel a Tokyo.
Sin dall’inizio del Novecento Wright si venne segnalando come uno dei più abili e perspicaci collezionisti di stampe giapponesi. La vastità della collezione che accumulò col passare degli anni gli permise di far fronte, tra l’altro, alle non poche difficoltà economiche che lo angustiarono nel corso della vita. Noti collezionisti, infatti, lo incaricano di acquistare e selezionare per loro stampe durante i suoi soggiorni in Giappone, mentre porzioni significative della sua collezione vennero cedute ad alcuni dei principali musei americani, dal Metropolitan Museum di New York al Museo di Boston.
A prova delle conoscenze da lui maturate e a sostegno del ruolo che interpretava di mercante tra i più ricercati negli Stati Uniti, nel 1912 Wright pubblicò un libro fondamentale, The Japanese Print: An Interpretation, disponibile anche in edizione italiana (Electa, Milano 2008).
Nato nel 1867, durante l’infanzia Wright subì l’influenza fondamentale per la sua formazione rappresentata dall’educazione impartitagli dalla madre, ispirata dal metodo del Kindergarten messo a punto dal pedagogo tedesco Friedrich Froebel.
La sua formazione professionale si compì nell’ultimo scorcio dell’Ottocento nello studio di Adler e Sullivan a Chicago, al tempo il più importante tra quelli attivi nella più dinamica città degli Stati Uniti.
Con Louis Sullivan Wright intrattenne un rapporto strettissimo, riconoscendolo come il suo unico maestro.
Ancor prima della fine del XIX secolo, Wright iniziò a costruire opere sia per conto dello studio di Adler e Sullivan sia autonomamente.
Dagli anni Novanta dell’Ottocento realizzò nei sobborghi di Chicago (a Oak Park, in particolare) una serie di residenze unifamiliari che definì con il nome suggestivo di “case della prateria”. Dell’evoluzione delle ricerche compiute in questo campo la casa che Wright costruì per se stesso a Oak Park (1889 e segg.) e la Robie House a Chicago (1908 e segg.) sono esempi eloquenti.
Continuamente al centro di vicende familiari e professionali intricate e a volte traumatiche, dopo aver completato a Tokyo nel 1923 l’Imperial Hotel che rappresenta la più matura espressione del debito da lui contratto con la cultura giapponese, Wright operò per alcuni anni in California dove realizzò alcuni capolavori quali le case Hollyhock, Stoner e Ennis, ispirate da suggestioni riconducibili all’architettura precolombiana.
Negli anni Trenta completò altre celebri opere, quali la “casa sulla cascata” a Mill Run (Pennsylvania), terminata nel 1937 e il complesso polifunzionale per la Johnson Wax a Racine (Wisconsin) dal 1936.
Dopo aver sistemato e ampliato negli anni la sua residenza-studio nella località dove aveva trascorso l’infanzia, Spring Green in Wisconsin, denominandola poi “Taliesin”, dal 1937 ca. costruì una seconda residenza-studio-scuola a Scottsdale in Arizona, definendola “Taliesin West”.
Nel 1943 Wright ricevette l’incarico di realizzare l’opera destinata a divenire il suo massimo capolavoro, il Guggenheim Museum a New York. La costruzione lo impegnò sino alla morte, sopravvenuta nel 1959, poche settimane prima dell’inaugurazione ufficiale del Museo.
Una mostra a Casabella laboratorio, via Marco Polo 13, Milano è aperta dal 28 novembre al 20 dicembre 2011.