Impresocrazia post partitica e postdemocratica

Mettiamola così. Sostituiamo alla parola “elettori” la parola “clienti” e alla parola “partito politico” la parola “impresa“.
Poi facciamo un ulteriore passaggio: sostituiamo la parola “cittadini” con “prospect“.

Cerchiamo la più banale delle definizioni chiedendola al frullatore statistico chatGPT: Un prospect è un potenziale cliente che ha mostrato interesse per un prodotto o servizio, ma non ha ancora effettuato un acquisto.

Più o meno coincide.

Adesso guardiamo il tutto da questa prospettiva:

[impresa] > fa attività di marketing > per trasformare > [prospect] > in [clienti]

Ad [impresa] sostituiamo [partito politico] e il risultato è:

[partito politico] > fa attività di marketing > per trasformare > [cittadini] > in [elettori]

Possiamo a questo punto parlare di attività di marketing politico dove non esiste più una struttura ideale, a lunga portata e specialmente rispondente alle necessità del paese e dei cittadini ma semplici attività lucrative in cui si strattonano i passanti dentro ai negozi.

I [politici] sono diventati [dipendenti] o [soci] dell'[impresa-partito] e non rispondono ai cittadini-elettori adesso [clienti] ma a chi li ha messi nell’organigramma dell’azienda-partito con le liste bloccate.

Semplice no?

Il linguaggio della politica attuale, in gran parte dei paesi occidentali, si è deteriorata dalla disintermediazione giornalistica (intesa come struttura informativa a presidio della democrazia) attraverso la sostituzione dei [giornalisti] con dei [rappresentanti commerciali delle imprese-partiti] diventando [giornalisti-venditori]. Ma lo scopo non è fare [giornalismo] ma [vendere] ovvero trovare nuovi clienti-elettori che con il loro “like” nella scheda elettorale fanno salire di posizioni e valore l’impresa-partito.

Se il postpartitismo (Treccani che dice?) viene inteso come superamento della definizione democratica degli stessi, spesso collegata alla devastazione organizzativa prodotta dell'”operazioni mani pulite” nel 1992, l’avvento dell’uso della rete (questa volta è stato il successo di Obama ad aver dato risalto ad uno strumento prima sottovalutato dai partiti e movimenti) ha portato alle nuove figure che non sono attivisti politici, nel senso più proprio del termine ma fans che hanno portato il tifo, più quello televisivo della De Filippi rispetto a quello sportivo, nelle conversazioni.

Sono loro che saturano in maniera esasperata e spesso isterica la rete rilanciando le stesse identiche cose per trovare essi stessi un’identità.

Ma la debolezza è tale che se il leader-feticcio sposta l’opinione o la cambia nella maggior parte dei casi lo seguono lo stesso.
Fino al momento in cui non è più cool per il microambiente digitale che abitano e quindi cercano una nuovo mirabolante soggetto politico da lodare. “Non si può vivere senza un Dio (cit.)”

Adesso qualcuno a sproposito citerà il Gene egoista (1976). Citatelo. tanto non si fa male nessuno, Anche se non è coerente con quanto avete letto finora. Ma la voglia di cercare di incasellare le parole in “scatole conosciute” è troppo forte. Fatelo se volete. Ma c’entra nulla.

Sono certamente più pertinenti le riflessioni di Colin Crouch (1944-) sulla postdemocrazia (2003) ma sono ferme, imperniate ai primi anni del 2000 e non si sono evolute nella tendenza data dalla pressione del digitale e dei social. Non ha compreso il potere esplosivo della atomizzazione delle idee che si sono trasformate in scivolose biglie di vetro che tramano contro gli equilibri democratici. Ne è la riprova che nel suo “Combattere la postdemocrazia” del 2020 dialoga ancora con “il se stesso” di 20 anni prima senza aver realmente assorbito quanto intorno è successo. La sua ossessione verso il berlusconismo del 2003 è ancora al centro, questa volta in dosi omeopatiche (termine sbagliato ma volevo usarlo), di un ragionamento sui grandi poteri internazionali: multinazionali, poteri sovranazionali, impossibilità di arginare la crescente esasperazione delle masse, bla, bla, bla. Un libro che sazia e convince. Perché lo avevate già assorbito dalla pelle mille volte. Ma non sposta di un millimetro quando scritto 17 anni prima.

Nessuno può obiettare sul fatto che si è passati da una tendenza al disimpegno politico (che nel 1992 ha trovato il suo culmine) alla esplosiva crescita dei vocianti. Quelli che ripetono a pappagallo fatti, veri o molto più spesso falsi, ma al solo scopo di supportare l’impresa-partito della quale sono diventati fedelissimi clienti.

E un neologismo non lo coniamo? Ovvio che si. Questa volta è semplice: siamo in una impresocrazia post partitica e postdemocratica.

Un neo protagonismo in cui molti riconoscono i quindici minuti di famosagine di Andy Warhol, ma io intravedo un’altra frase del meraviglioso artista: “piove? no, ci stanno sputando addosso“*.

*The Andy Warhol Diaries (1976-1987)