Il crollo delle vendite dei giornali in edicola non è reversibile. I lettori che passano al digitale si disabituano velocemente al rito dell’acquisto quotidiano. Se trovano altrove, anche una sola parte di quello che leggerebbero su carta ma gratis, non hanno motivo di cambiare. Non mi convince per nulla quello che dice Beppe Severgnini “I quotidiani resisteranno se troveranno il modo di rendersi utili. Se la gente attribuirà loro un valore”.
Il valore non è percepito e non lo sarà.
Se ogni giorno le edicole perdono clienti il costo per lanciare qualsiasi nuova iniziativa editoriale sarà sempre più alto, non si potrà più usare l’edicola come vetrina per altre pubblicazioni. Nemmeno per raccontare come sia cambiato un giornale presente magari da decenni. E quindi? E quindi passiamo al digitale.
Facile da dirsi ma irrealizzabile: le pubblicità, peraltro invasive, non sono sufficienti a pagare un lavoro professionale, non riescono a coprire i costi del prodotto editoriale e allora si ricorre a un click baiting selvaggio, ovvero esasperazioni comunicative che mal vengono digerite dai lettori più esigenti, quelli che una volta pagavano per leggere.
Eppure c’è un giornale che cresce ogni giorno, è il più grande giornale mai esistito per diffusione, penetrazione e lingue. Ed è quello che ha battuto tutti i record di fatturato.
È quello che state usando, è Facebook.
Sostituite alla parola “amico” di Facebook, la parola “giornalista improvvisato”.
Rientrate in Facebook e guardate lo stream.
I singoli post sono frammenti di un discorso più ampio, sono pezzi di un articolo. Si pubblicano storie personali, pareri e le “lettere dei lettori” sono i commenti di altri “giornalisti improvvisati”.
Facebook non è più un social network, un luogo solo per dialogare tra persone che fanno parte della stessa università o dello stesso gruppo, è un giornale. Vero e proprio.
Siamo tutti redattori, la linea editoriale viene dettata da Facebook che decide cosa e come farti vedere le notizie che poi scateneranno le discussioni.
Un giornale. È un giornale.
Ibrido, qualcuno direbbe liquido, giusto per ricordare che ha comprato il libro di Bauman ma a tutti gli effetti un prodotto editoriale velocissimo, inarrestabile, con un numero infinito di notizie. Esaustivo. Spesso superficiale ma senza che questo venga ravvisato, ti fa credere che esiste sempre qualcosa di più approfondito, preciso. È la vertigine dell’immensità delle informazioni.
Va proprio su questa linea la scelta di Zuckerberg di far decidere ai suoi “giornalisti improvvisati” quali sono le notizie vere e quelle false nella battaglia, solo verbale e a favore dell’opinione pubblica di migliorarne i contenuti.
Tante informazioni, non cadete nella tentazione di dire troppe perché dipende solo dai mezzi di filtraggio, e proprio per questo servirebbero dei VERI giornalisti, in grado di interpretare la realtà, di costruire dei percorsi di conoscenza più certi, di innescare dei pensieri più complessi. Selezionare, scegliere, decidere questo fa un buon giornalismo ed è quello che ho visto in Rep:.
Dobbiamo partire da qui. Se è un giornale allora spetta a noi, a tutti noi migliorare quello che vogliamo far vedere agli altri, scegliere che cosa raccontare e creare uno spazio di crescita non solo di svago, per quello c’è l’inutile televisione.