Ricopio qui di seguito, come promemoria, una discussione pubblica su Facebook che ritengo molto interessante sul tema della disintermediazione giornalistica e sul ruolo del giornalista. La discussione è composta da centinaia di item e ne ho estratti solo alcuni significativi in ordine cronologico (anche non nello stesso thread).
Barbara (giornalista) – Quest’anno almeno 12 esperti intervistati da {…} hanno disintermediato: filosofi, sociologi, scienziati, opinionisti, ingegneri si sono messi a condurre programmi TV su reti private, scrivono articoli su testate con sola firma come fossero cronisti navigati, preparano da soli video per YouTube e Instagram. Se io e i miei colleghi giornalisti scriviamo un editoriale si irritano per non essere stati interpellati, litigano uno con l’altro e lo fanno anche via social. Non mi riferisco a nessuno in particolare (solo questa settimana sono quattro). Insomma, raggiunta la visibilità tramite la stampa, molti hanno eliminato la stampa stessa per quello che era e/o rappresentava; contribuendo a un gran rumore di fondo in cui l’utente finale rischia di non capire più nulla. Come se non bastasse, aziende o società di consulenza, palestre, negozi di elettrodomestici, parrocchie, Università e società, hanno messo in piedi loro case di produzione o canali TV sull’AI e, al pari di testate e canali, propongono loro programmi con la loro più vendibile idea di AI. Che diventa un Dio o la bacchetta magica di Mago Merlino a seconda dello sponsor. Come fossero tutti il MIT o Oxford. Sarà un bene o un male? Il tempo ce lo dirà. Soprattutto: ci sarà ancora qualcuno che legge? Certo è che anche noi giornalisti potremmo ormai citare frasi in libertà o proporre tesi strampalate senza intervistare più nessuno. Insomma: tana libera tutti. Un ulteriore problema che si aggiunge alle fake news pervasive create dall’AI generativa in tempo di elezioni.
Walter (scienziato) – Leggo in giro di giornalisti preoccupati per l’effetto della disintermediazione che non gli riconosce il ruolo centrale di gate-keeper (coloro che scelgono gli interlocutori su temi importanti).
Ci si chiede chi è il colpevole di cotanto oltraggio.
C’è da chiarire un paio di questioni.
La prima è che la disintermediazione in quanto tale è superata. La mediazione c’è, ma segue il business model delle piattaforme ovvero massimizzare il numero di visualizzazioni. Tutti volenti o nolenti si sono adeguati a questa dinamica. Quindi se te giornalista sdogani qualcuno poi quello tramite i suoi canali entrerà a nel circo e continuerà il gioco come fanno tutti, a discapito di chiunque.
Poi siamo sicuri che un giornalista sia in grado di capire chi è davvero preparato su un tema?
Nel mercato della sovrabbondanza di informazioni dove tanti parlano, ma pochi sanno, la questione cardine è che chi produce i contenuti veri (non le supercazzole) la fa da leone perchè è solo li che si costruisce autorevolezza (la cui perdita è il vero elefante nella stanza).
Non a caso giornalisti si appellano a titoli (che magari neanche hanno) e nomenclature per accrescere la propria autorevolezza dove spesso invece i contenuti sono riassemblaggi superficiali di questioni lette male e capite peggio.
Altra pretesa, ormai disconosciuta dai fatti, è quella di voler scegliere interlocutori preparati senza brigarsi neanche di vedere un minimo i lavori e il loro eventuale impatto (ci sono strumenti disponibili a tutti che aiutano in questo).
Invece, l’ignoranza è sovrana e insieme alla superficialità fanno danni immani.
Tramite la selezione attuale sono stati sdoganati personaggi indegni che non fanno altro che portare immondizia in un sistema già fortemente inquinato. “Esperti” che si ammantano di titoli, ma spesso non sono in grado di capire quello che leggono e non hanno nessun merito se non quello di vestire con costumi.
Insomma è l’equivalente di far parlare KenShiroppo78, famoso birraio e violinista dilettante, sull’importanza dell’AI nel mondo del lavoro perchè ha un bellissimo pizzetto. Paro paro.
Quindi la riposta è: ancora ci stiamo chiedendo veramente chi è il colpevole?
Renato – il mondo dell’innovazione digitale italiano è popolato da una serie di persone, sedicenti esperti, che si spostano da un hype all’altro approfittando della visibilità offertagli inizialmente dai media tradizionali. Spesso, questi sedicenti esperti, hanno curricula traballanti, formazione universitaria dubbia o mancante, poca esperienza professionale. Migrano da una tecnologia esponenziale all’altra e spesso usano la loro visibilità per promuovere le loro attività collaterali (consulenza, formazione, marketing). Sono allergici al confronto e pur di sfuggire preferiscono buttarla in caciara….
Walter (scienziato) – Basta guardare chi parla di AI in Italia per rendersi conto che i fatti parlano da soli. La famosa “Nessuno sa come funziona l’algoritmo di google maps” sarebbe da farne un monumento. Sdogani monnezza, poi ci sta che tra quelli che chiami, qualcuno non si voglia far identificare con un circo e quindi si mette in disparte o per fatti suoi. Poi se si vuole dare la colpa alla disintermediazione va bene, ma la realtà resta.
Prima, quando i mediatori dominavano ,parlavano 400 milioni di persone .La rete è figlia di questo balzo.I giornalisti sono stati i primi ad essere colpiti , e ogni articolo da ricezione è diventato conversazione ,ma oggi sono toccati dalla disintermediazione sociale anche gli esperti, o medici,e gli scienziati caro Walter {…} a Como citare dai matematico che so devono rassegnare che 2 +2 non Fa più automaticamente 4 come co aveva già spiegato Shannon e Turing .Quanto poi alla mediazione algoritmica delle piattaforme quella è dominio computazionale dei calcolanti sui calcolati e apre un’altra storia
Walter (scienziato) – Rimango un po’ interdetto per le reazioni a seguito del post precedente partito per ragionare su temi che da queste parti sono oggetto di studi da anni.
Lo sappiamo bene, ognuno sceglie quello che gli piace e ignora tutto il resto.
Impostare un discorso sulla disintermediazione senza cadere nei malintesi e nella polarizzazione che poi porta a reazioni scomposte è molto difficile. Anche per stimatissime giornaliste che hanno un ruolo importante in Italia che finiscono per disegnarmi come un agente del MI6.
Nell’articolazione del business model si rimane incastrati senza soluzione di continuità perdendo completamente di vista il punto e magari finendo anche per andare molto oltre senza che ce ne sia una reale necessità (anche perché realmente la necessità non c’è mai).
Ma non demordo e rimango ottimista.
Alessandro (giornalista) – Giornalista e ricercatore (o professore) sono ruoli complementari ad alta specializzazione. Solo pochissimi/nessuno possono riuscire a fare bene entrambe le cose. Divulgare la propria materia per un esperto è diverso da essere giornalisti, è più possibile riuscirci, ma non solo pochi sanno anche comunicare bene. Cosa manca in ogni caso? L’indipendenza e la capacità del giornalista di leggere il presente cogliendo le notizie. Solo un ignorante totale non ne coglie il valore. Il migliore dei mondi non vede una sostituzione ma una collaborazione, ognuno con le sue prerogative. Come farlo è un tema di discussione importante ora nel mondo anglosassone, serve umiltà da entrambi i lati, volontà di venirsi incontro e capirsi