Riporto, per gentile concessione dell’autore Roberto Cotroneo, una sua riflessione (originale).
Cosa è questa roba qui? Che accordo devo fare con i miei lettori, e che spiegazioni devo dare? Partiamo dal 2007. Il 2007 è l’anno in cui mi iscrivo a Facebook, se non ricordo male era ancora solo in inglese. Si capisce subito che è uno strumento interessante, che si parla con persone che non si rivedono da tempo.
È un luogo di scambio. Lo chiamano web 2.0. Senza farla troppo lunga, dura poco. Lentamente diventa il fenomeno globale che sappiamo e parallelamente nasce Twitter. Diverso certo, ma funziona come funzionava Facebook agli albori. Livello più alto, possibilità di raccontare la realtà. Piattaforma utile soprattutto a giornalisti, scrittori e intellettuali. Dura pochissimo. Diventa una fiera della vanità, in pochi anni collassa verso l’irrilevanza. Nel frattempo arriva Instagram. Dovrebbe mostrare fotografie, fa molto di più: racconta tendenze, mode, prodotti, cibo e via dicendo. Non collassa, ma con la fotografia ha ben poco a che fare. È strumento che si occupa delle cosiddette declinazioni del narcisismo. Va bene. Ho attraversato Facebook, Twitter e poi Instagram. Li ho chiusi tutti, e abbandonati, almeno una volta. Facebook è rimasto chiuso per lungo tempo, fino alla metà di settembre 2018. Twitter è stato cancellato senza più rimedio allo scoccare del follower numero 20.000. Instagram abbandonato una prima volta, e per molti anni mai più ripreso.
Si viveva bene senza social network. Il mio telefono non si scaricava più, e usando con una cautela esagerata anche whatsapp potevo quasi dimenticarlo in tasca per molte ore. Poi però ho capito una cosa: che non si trattava di rendersi schiavi dei social network, si trattava di non diventare schiavi dei luoghi comuni sui social network. Quelli che spesso e volentieri propagandano i social media manager. Gente che generalmente non capisce niente. Ma un mestiere bisogna comunque farlo. Se si spezzava il gioco di quelle regolette che si crede funzionino, le cose potevano cambiare.
1. Per prima cosa Facebook è un non luogo. Non ha regole. Non è vero che i post per essere letti devono essere brevi. I post sono quello che si vuole, ed essere letti non è importante. E non è il primo pensiero che si deve avere.
2. I like sono una roulette casuale. Non hanno importanza se sono tanti o pochi, ha importanza scrivere nel modo più intelligente possibile. È importante dire delle cose pensate. Non commentare l’immediato, non raccontare la propria vita, non utilizzare i post per narcisismo, tipo quanto sono bravo. Non permettere i tag. Non importa a nessuno dei tour promozionali di un autore. Eppure la maggior parte degli autori e giornalisti usano i social come fossero pagine “di servizio”. Dove vai, a dire cosa, con chi, quando? Non funziona.
3. Cambiare tutte le regole. Trasformare un profilo social in un luogo dove aggirarsi e capire, non in un amplificatore della società. Può capitare di avere la tentazione di commentare l’orrore del giorno, la stupidaggine, la notizia emotiva e drammatica, e tutte quelle cose che si fanno sui social. Queste cose, qui da me, non le leggerete mai. Il commento non è a caldo, e neppure a freddo. I percorsi sono pensati perché ai lettori resti qualcosa, e possano scoprire delle cose nuove, possibilmente mai lette altrove.
4. Coloro che hanno argomenti veri li usino. Facebook è pieno di imbroglioni che si fingono scrittori, videomaker, organizzatori culturali, fotografi, poeti. È gente che confonde le acque, per essere presi sul serio utilizzano gli schemi che conosciamo tutti. Finisce per crearsi una confusione che non ha paragoni.
5. Indignarsi per lo stato morale e culturale del paese è ormai un argomento da post della giornata. Siamo un popolo di indignati che però continua a fare le cose che ha sempre fatto. Il motivo è che gli indignati molte volte sono uguali a coloro per cui si indignano. Se cancelli la qualità, la riflessione, se diventi intollerante e ti rifiuti di capire, se usi il cinismo e il sarcasmo contro i tuoi nemici, non vinci né una guerra e neppure una battaglia. Perdi su tutto.
6. Facebook è il regno del fatuo e del narcisismo. Ma si può fare qualcosa. Si leggono più i post di Facebook che i giornali. Ognuno faccia ciò che vuole. Ma io qui mi comporto come scrivessi su un giornale. Con la stessa identica logica. Io sono uno che fa l’editing ai suoi post.
7. È un problema culturale. Non si tratta di promuoversi, si tratta di raccontare le proprie idee, il proprio lavoro, la propria visione delle cose. Se questa è contenuta nei propri libri ben vengano i libri. Nel 2018 ho pubblicato “Niente di personale” per La nave di Teseo. Non è un memoir: è un romanzo. E c’è tutto quello che eravamo e quello che siamo diventati. Il resto è qui, in queste righe. Ma da lì sono partito.
8. Chiunque ha un atteggiamento maleducato, aggressivo, scortese viene cancellato e bloccato. Non accade quasi mai. Ma il bello del dissenso è che più è elegante e più è efficace. Mentre più è aggressivo e maleducato e più è farvi un favore che il vostro commento scompaia al più presto
9. I sentimenti su Facebook non devono esistere. Nessuna commozione, nessuna nota malinconica. Il privato deve continuare a esistere. Ma soprattutto nessuna retorica, di qualsiasi tipo. Siamo sommersi di retorica, di buoni sentimenti, di commozioni estemporanee, di moralismi, siamo noi i primi a soccombere di fronte al pensiero unico. Siamo tutti politicamente correttissimi. E non sappiamo a quale politica ci affidiamo e a quale correttezza. Proviamo a pensare in un modo diverso. E decidiamo che la prima cosa è smontare i nostri di luoghi comuni, il nostro pensiero solito e banale che il più delle volte troviamo irresistibile.
10. Da quando siamo diventati dei battutisti, non siamo più capaci di guardare il mondo. Questo post è lungo, come sempre. Ma non c’è altra scelta. La brevità non è efficacia, ma è sempre più una vera fregatura. La sintesi e la finta semplicità, va detto, sono l’oppio dei popoli.
Roberto Cotroneo