OpenData e SmartData per i Beni Culturali

beni_culturali_300x200Il concetto di SmartData lo avevo introdotto in questo post. L’evoluzione del progetto sta procedendo con l’individuazione di una serie di aree di applicazioni nelle quali non solo collaudare il protocollo ma analizzare la fattibilità di un uso esteso. La prima area di ricerca è quella relativa all’uso degli OpenData nella declinazione SmartData per i Beni Culturali. La scelta è stata dettata da due motivi principali: la strategicità del settore come abilitante altre discipline e la possibilità di utilizzare delle economie di scala partendo da data set esistenti ma non strutturati.

Conservazione degli archivi digitali

Ci sono almeno tre aspetti determinati quando si parla di conservazione degli archivi digitali:

  • la conservazione in supporti digitali che per loro natura hanno una durata inferiore rispetto agli altri media (un HDD si ritiene abbia una vita tra 8 e 20 anni e c’è ancora troppa poca esperienza su SSD)
  • Il mantenimento in linea dei contenuti
  • La validità nel tempo e il significato del conservato

La necessità di gestire, in maniera digitale, i beni culturali viene da lontano. Fin dall’introduzione delle prime tecnologie digitali la catalogazione dei beni culturali, data la loro estensione, è stata una delle prime applicazioni dei database. La pervasività della rete ha trasformato la necessità di gestire le informazioni in forma distribuita. Il passo successivo è quello di rendere partecipata la costruzione delle basi di dati fruibili, aperte e aggiornate. Va da se che i beni culturali, specialmente in un paese così di denso di testimonianze come il nostro, necessiti di procedure molto più scalabili e che siano in grado di incrementare lo strato informativo in relazione anche alle nuove disponibilità di tecnologie e informazioni. Per decenni i beni culturali venivano “schedati” ovvero ridotte tutte le informazioni che lo rappresentavano, all’interno di un sistema che fosse facilmente consultabile e organizzabile manualmente. Nella prima fase della informatizzazione il processo è stato esattamente identico: si sono riprodotte, in maniera digitale le stesse schede, gli stessi elementi (campi) e le stesse unità di misura. È evidente che tale sistema non solo è agli occhi attuali ingenuo ma specialmente non utilizza alcuna caratteristiche dei sistemi digitali per consentirne lo studio e/o la fruizione. Se nella prima fase la “catalogazione” è avvenuta solo in forma testuale, in una seconda fase, dalla fine degli anni ’80 del ‘900 si sono aggiunte le prime immagini digitalizzate, in una prima fase passando dall’immagine fotografica analogia alla sua digitalizzazione e successivamente acquisita direttamente in digitale. Se il bene si presentava idoneo venivano realizzate delle riprese video. I passaggi successivi, sempre supportati dall’evoluzione tecnologica, sono stati relativi alla digitalizzazione tridimensionale dell’opera attraverso prima primitivi strumenti a ultrasuoni, poi ottici (utilizzando la superficie dell’opera come elemento di disturbo nella propagazione), e infine con l’utilizzo dei più recenti scanner 3D.

Scanner 3D

Questi modelli avevano e hanno sempre il limite della risoluzione del sensore e quindi la continuità dell’opera viene assicurata da software di interpolazione dei punti. La restituzione consiste in un modello di dati tridimensionale di norma manipolabile con la maggio parte dei software CAD e/o di modellazione tridimensionale.

Prof. Simone Faro - Università di Catania
Prof. Simone Faro – Università di Catania

È da ricordare comunque che la risoluzione è l’elemento fondamentale per una corretta gestione delle forme. Entrano in gioco anche in questo caso degli elementi essenzialmente collegati alla tecnologie hardware e software disponibile al momento. Bisogna considerare infatti che la nuvola di punti che viene ottenuta da uno scanner 3D può essere variabilmente interpretata.

Immagine di 3D Everywhere
Immagine di 3D Everywhere

Quali informazioni per i beni culturali

Ogni bene culturale ha delle informazioni proprie (ovvero definite attraverso una attività di metrica) e informazioni collegate e/o acquisite. Le informazioni proprie sono ad esempio il materiale di cui è costituito, le misure, la data di realizzazione, l’autore,  ecc. Alcune sono stabili (come ad esempio le dimensioni) altre invece variabili nel tempo e necessitano di essere confermate e/o validate (come ad esempio la collocazione, la proprietà, alcuni diritti di utilizzo, lo stato di conservazione, ecc.). Le informazioni collegate sono quelle relative a studi, critiche, analisi, commenti al bene stesso.

Definizioni / SmartObject

Sono delle informazioni che possono essere utilizzate immediatamente senza altre informazioni supplementari ma a cui possono essere aggiunti più strati informativi ulteriori e possono appartenere a degli insiemi anche disgiunti e collegamenti ricorsi e/o gerarchici. Perché digitalizzare i beni culturali La fruizione dei beni culturali può avvenire a scopo di conoscenza culturale (pensiamo ai visitatori dei musei), a scopo di studio e ricerca. I livelli di informazione che saranno disponibili dovranno quindi essere forzatamente diversi anche perché non si tratta solo di dati DEI beni culturali ma SUI beni culturali.

Le metriche dei beni culturali

Se consideriamo un bene culturale uno SmartObject possiamo avere delle variabili interne ed esterne, e nello stesso modo le metriche di riferimento.

Smart Data – Il modello

Smart Data – Le applicazioni

Le applicazioni che possono essere realizzate sugli SmartData sono molteplici e legate alla possibilità di utilizzare in maniera chiara e trasparente i dati aperti, controllati, reputati e validati.

Smart Data – Le opportunità SmartData permette di sviluppare una “economia del dato” perché garantisce una distribuzione controllata e definita direttamente dal detentore dei diritti. Il sistema di “controllo sociale” garantisce un mantenimento del tutto coerente con la velocità di aggiornamento prevista per quel dato.

Link e riferimenti