Di seguito la mia intervista alla Nuova Sardegna raccolta da Anna Sanna in occasione dei 10 anni di Facebook.
Dieci anni di “mi piace”, “condividi”, “aggiungi agli amici” e post in bacheca che hanno cambiato il nostro modo di vivere la Rete. Era il 4 febbraio del 2004 quando Mark Zuckerberg e i suoi compagni di college Dustin Moskovitz, Chris Hughes e Eduardo Saverin lanciavano The Facebook, una piattaforma pensata per far incontrare gli studenti di Harvard, poi diventata semplicemente “Facebook”. Oggi il social network più diffuso al mondo compie dieci anni, e li festeggia con oltre un miliardo di iscritti e un fatturato da 5 miliardi di dollari. Ispirato all’annuario con foto tipico delle università americane, Facebook ha trasformato il modo di raccontare e soprattutto di raccontarsi sul Web e non solo, diventando “Il più grande esperimento sociale mai realizzato nella storia dell’umanità”, secondo Maurizio Galluzzo, esperto di digitale (se ne occupa dal 1979) e docente di marketing digitale e UX a Milano “Oltre un miliardo e qualche centinaio di milioni di persone che scrivono in uno stesso posto, con le stesse modalità, raccontando se stessi e il proprio mondo – dice Galluzzo – visto dall’esterno, questa è la vera applicazione BigData, miliardi di informazioni, foto, notizie che si muovono in continuazione. L’analisi del sentiment, di quello che le persone pensano, il loro umore, le loro reazioni a fenomeni mondiali, è davvero unica”.
Una crescita inarrestabile quella di Facebook, che nemmeno il social di Google, Google Plus, è riuscita a scalfire. “La vera notizia di questi 10 anni è che nessun altro competitor realmente importante si è affacciato nell’arena dei social network e lo stesso Google+ stenta a decollare – continua Galluzzo – Anche il disinnamoramento previsto subito dopo il lancio e le profezie sulla sua fine sono non solo state disattese ma di fatto la presenza di Facebook è diventata pervasiva e invasiva: non è nemmeno pensabile adesso realizzare una campagna di marketing senza prevedere la presenza nei social network”. Quel 4 febbraio del 2004, oltre 25 persone si registrarono su Facebook. Dei tre account di prova, il primo vero iscritto fu Mark Zuckerberg in persona. “Tecnicamente Facebook è cambiato poco in questi 10 anni – spiega ancora Galluzzo – è cambiato molto di più l’atteggiamento e il comportamento degli utenti. Alcuni si sono adattati al nuovo mezzo e ne hanno sfruttato le potenzialità relazionali e collaborative, altri lo stanno ancora usando passivamente come una televisione in cui ogni tanto possono anche inveire o sentirsi protagonisti perché leggono notizie di prima mano dall’idolo di turno. Nel totale però la consapevolezza del mezzo è cresciuta anche se a preoccupare sono gli utenti più giovani e meno smaliziati che fanno della rete un uso ancora troppo poco consapevole”. La vera insidia però si nasconde nella sempre maggiore richiesta di informazioni personali agli utenti. “L’unica cosa che è cambiata in Facebook, ma qui c’era una lunga predeterminazione, è la progressiva invasione della privacy e la insistente richiesta di sempre maggiori informazioni identificative – spiega Maurizio Galluzzo – prima sono fatti sparire i nickname, poi sono state associate le persone a gruppi omogenei (compagni di scuola, di lavoro, ecc.) allo scopo di intercettare eventuali profili falsi o scorretti e per finire, con la scusa di prevenire la perdita dell’accesso, si è chiesto di fornire altri indirizzi e-mail oltre al primario e il numero di telefono cellulare. Questa tendenza alla schedatura sarà sempre più pressante perché il prodotto dei social network siano noi, che lo usiamo, vengono venduti i nostri profili, le nostre scelte, i nostri gusti e chi paga vuole sapere dove siamo, come siamo e cosa ci piace”.
Grazie a Tiziana Tirelli @tiztire per la segnalazione
La parte non inclusa nell’intervista è questa:
Le grandi imprese hanno compreso immediatamente le potenzialità del mezzo, la piccola e media impresa italiana è invece lontana ancora da questi strumenti anche perché molto spesso il modello di vendita è relazionale diretto. Manca la consapevolezza e la capacità di usare questi strumenti di marketing perché la PMI italiana non ha mai fatto vero marketing, qualche pubblicità locale più per soddisfare l’ambizione mediatica del titolare che un reale progetto di comunicazione. La prova è che nessuno applica metriche adeguate per verificare il ritorno dall’investimento pubblicitario.
Se pensiamo al rapporto tra Facebook e giornali, intendo le testate tradizionali, queste sono la principale fonte di contenuti per i social network, si postano le notizie, si rilanciano ma sono, ripeto “pezzi” di giornali, scritti da giornalisti.
Si è per anni scritto, frettolosamente, che i giornali sono stati sorpassati dai social network come Twitter in grado di dare l’informazione in tempo reale. Vero, ma questi sono solo fatti, accadimenti, al massimo cronaca, ma l’approfondimento, la collocazione dei fatti all’interno del contesto, la selezione delle sole cose interessanti la fa e la farà il giornalista e il giornale. Pensare a dei giornali “autoprodotti” dai social network, cosa che ad esempio Facebook sta facendo con Paper sono esperimenti di bricolage digitale.
L’altro aspetto che riguarda i giornali e i social network è che i giornali, spesso, anche se non sempre, filtrano e verificano le notizie e sono la maggiore barriera alla diffusione della “social ignoranza” fatta di superstizioni calate nella fenomenologia contemporanea.
Patologico è invece un altro tipo di comportamento che mettono in atto alcuni giornalisti più imprudenti o impreparati: quello di saccheggiare le bacheche di Facebook di foto e informazioni specialmente quanto si tratta di persone coinvolte o vittime di fatti di cronaca. Ma conto che questo atteggiamento si placherà via via che aumenterà la consapevolezza del mezzo.
La vera notizia di questi 10 anni è che nessun altro competitor realmente importante si è affacciato nell’arena dei social network e lo stesso Google+ stenta a decollare.
Lo stesso disinnamoramento previsto subito dopo il lancio e le profezie sulla sua fine sono non solo state disattese ma di fatto la presenza di Facebook è diventata pervasiva e invasiva: non è nemmeno pensabile adesso realizzare una campagna di marketing senza prevedere la presenza in rete e in particolare nei social network.
Non si può chiudere questa carrellata ricordando che proprio la Sardegna è stata protagonista importante dello sviluppo digitale del Paese.
Basti pensare che CRS4 all’inizio degli anni ’90 era diretto dal Premio Nobel Carlo Rubbia che era stato direttore del CERN dove è nato il Web come lo conosciamo ora, e ha realizzato il primo sito italiano (www.crs4.it) nel 1993, l’anno successivo il primo web quotidiano in Europa e l’anno dopo ancora il primo servizio di Webmail (adesso utilizzato da tutti, pensiamo a Google GMail, Yahoo, ecc.) è nato nel 1995. Ha dato vita al progetto Video On Line (VOL) che è stato uno dei primi Internet provider italiani che proprio nel 1995 aveva il 30% del mercato Internet in Italia.
L’onere di rappresentare la Sardegna nell’universo digitale e poi passato a Tiscali che è uno dei principali player del settore e che sforna sempre nuovi progetti e tecnologie. Insomma la Sardegna ha davvero intercettato il fenomeno della rete e continua ad esserne protagonista.