L’attività di ricerca svolta dagli studenti è un’ottima occasione per valutarne la maturità e la capacità di critica e di selezione. Per questo motivo ho chiesto agli studenti di raccogliere il materiale del Corso di disegno tecnico e progettuale dello IED di Venezia. Ne è uscita una ricerca utilizzabile grazie alla abbondanza di link e riferimenti e alla loro personale interpretazione.
Punto linea superficie
di Filippo Maitan
In “Punto, linea, superficie” W. Kandinshij elabora il suo metodo di rappresentazione, partendo dall’elemento più semplice, il punto, che interpretato come entità in movimento determina la linea geometrica e dai movimenti della linea si arriva alla creazione di superfici. Se un colore viene associato alla sua forma gli effetti e le emozioni che scaturiscono dai colori e dalla forma vengono potenziati. Il giallo ha un rapporto privilegiato con il triangolo, il blu con il cerchio e il rosso con il quadrato.
Wassily Kandinsky (Mosca, 1866 – Neuilly-sur-Seine, 1944) è stato un pittore russo, creatore della pittura astratta.
Il Punto:
Il punto infatti è l’elemento da cui si generano tutte le altre forme, la linea ne è infatti la sua più diretta conseguenza, il piano invece è la superficie rispetto la quale vengono studiati gli altri due elementi.
Il punto in astratto rappresenta “l’unione suprema e unica tra silenzio e parola”; basti pensare alla condizione in cui ci si trova all’inizio di ogni processo progettuale: un foglio bianco, una generale condizione di confusione e incapacità di prendere una direzione, paragonabile quindi al silenzio al vuoto. Lo step immediatamente successivo a questo è rappresentato al primo punto che fissiamo sul foglio, ovvero una traccia che diventa il punto di unione con la prima parola, o traccia, che innesca il processo progettuale.
La Linea
La linea abbiamo detto essere la più diretta conseguenza della traccia di un insieme di punti che generano quindi una complessità nello spazio generativo.
Kandinsky la definisce la forma più coincisa dell’infinito:
- La linea orizzontale corrisponde al freddo;
- La linea verticale corrisponde all’infinta mobilità calda;
- La linea diagonale e l’infinita mobilità caldo-freddo.
La linea quindi è l’unico elemento che in funzione del suo addensamento può creare una superficie; le linee spezzate e angolate entrano in una seconda categoria di linee, che serviranno a determinare il piano, la superficie.
Anche nella linea i limiti sono confusi e fluidi, tutto dipende dalle proporzioni e dal suo movimento.
La Superficie
Per “superficie di fondo” si intende la superficie materiale destinata ad accogliere il contenuto dell’opera. La designeremo con la sigla SF.
La SF schematica è delimitata da 2 linee orizzontali e da 2 verticali, che la definiscono come entità autonoma nel suo ambito.
Una volta data la caratterizzazione delle orizzontali e delle verticali, il suono fondamentale della SF deve apparire chiaro da solo: due elementi della quiete fredda e due elementi della quiete calda sono due suoni doppi della quiete, che determinano il suono tranquillo oggettivo della SF.
Il prevalere dell’una o dell’altra coppia, cioè il prevalere della larghezza o dell’altezza, determina, di volta in volta, il prevalere del freddo o del caldo nel suono oggettivo. Così i singoli elementi vengono immessi fin da principio in un’atmosfera più fredda o più calda; e questa condizione non può più essere eliminata completamente in seguito, neppure da un grandissimo numero di elementi opposti – questo è un dato di fatto che non si deve mai dimenticare.
L’effetto del colore:
Se si osserva una tavolozza coperta di colori si hanno due risultati:
1) si ha un effetto puramente fisico, cioè l’occhio è affascinato dalla bellezza e dalle qualità dei colori;
2) l’altro fondamentale risultato dell’osservazione del colore, cioè il suo effetto psichico. Emerge allora la forza psichica del colore, che fa emozionare l’anima.
Sistemi di proiezione
di Tiago Giunta
Si dice proiezione una trasformazione geometrica con il dominio in uno spazio di dimensione n e il codominio in uno spazio di dimensione n-1 (o minore). La proiezione 3D di un oggetto è definita da un insieme di rette di proiezione, aventi origine da un centro di proiezione, che passano per tutti i punti dell’oggetto e intersecano un piano di proiezione per formare la proiezione vera e propria. Le proiezioni possono essere di diversi tipi.
Ci sono le proiezioni geometriche piane che si formano quando i proiettori sono rette e quando la proiezione è su di un piano e non su una superficie generica. Le proiezioni geometriche piane si dividono a loro volta in prospettiche e parallele. La differenza è data dalla distanza tra il centro di proiezione e il piano di proiezione: se tale distanza è finita la proiezione è prospettica, se è infinita è parallela.
Il disegno tecnico definisce le regole per la rappresentazione di oggetti allo scopo di fornire tutte le informazioni utili alla sua realizzazione. Si riconoscono 2 principali metodi di comunicazione, la rappresentazione grafica e la quotatura, che insieme forniscono tutte le informazioni necessarie alla comunicazione tecnica.
METODI DI RAPPRESENTAZIONE
La rappresentazione grafica si basa sui principi della Geometria Proiettiva che studia la proiezione di entità geometriche da uno spazio ad un altro di dimensione inferiore.
Il problema principale del Disegno Tecnico consiste nella Rappresentazione Grafica di oggetti tridimensionali sullo spazio bidimensionale del foglio, con conseguete perdita di informazione.
I metodi di Rappresentazione previsti nel Disegno Tecnico sono la ‘’Doppia Proiezione Ortogonale’’, che recupera l’informazione tramite l’utilizzo di due o più viste, e la ‘’Proiezione Assonometrica’’, che fornisce un’idea tridimensionale dell’oggetto, anche se incompleta.
Esistono altri metodi, quali la ‘’Prospettiva’’, le sezioni quotate, etc. che vengono utilizzati in altri campi di interesse tecnico.
GEOMETRIA PROIETTIVA
Nella geometria proiettiva un punto è un’entità differente rispetto alla geometria Euclidea, in quanto è ammesso il concetto di un punto all’infinito (detto punto improprio). Una delle conseguenze è ad esempio che due rette sono parallele se si incontrano in un punto improprio.
Un punto improprio può essere definito tramite un sistema di coordinate omogenee. Per ottenere la proiezione di una entità geometrica nello spazio è necessario definire il ‘’Centro di proiezione’’ ed il supporto di proiezione:
-il centro di proiezione è il punto da cui partono le rette proiettanti
-il supporto di proiezione è lo spazio nel quale rappresentare l’entità proiettata
-la proiezione è l’insieme dei punti ottenuti dall’intersezione delle rette proiettanti, che congiungono il centro di proiezione con i punti dell’entità da proiettare, con il supporto di proiezione.
Assonometria ortogonale isometrica
Maddalena Forte
Un’assonometria è detta isometrica (figura) quando gli assi formano tutti e tre angoli uguali e quindi hanno la stessa riduzione assonometrica. In questo caso si ha che il triangolo delle tracce è un triangolo equilatero e che i tre piani del sistema di riferimento (xy, zx, yz) formano lo stesso angolo con il piano di proiezione. In particolere per una correta esecuzione, preso come riferimento l’asse verticale y, bisogna tracciare un’asse x inclinato di 120° rispetto all’asse verticale che guardi verso destra e un asse z inclinato di 150° rispetto all’asse verticale che guardi verso sinistra.
Il nome deriva dalle parole iso = uguale e mètron = misura, perchè impiega un unico sistema di misura sui tre assi. Gli angoli di riferimento formano tra loro angoli di 120°, fornendo una visione equilibrata dell’oggetto, la più simile alla visione dell’occhio umano, nessuna faccia è predominante rispetto alle altre. Un’altra caratteristica dell’assonometria ortogonale isometrica è che le misure riportate sugli assi hanno un rapporto pari a 1, cioè non subiscono variazioni.
La sequenza delle operazioni da compiere è video 1, video 2:
- Tracciare gli assi x,y,z avvalendosi della copia di squadre;
- Riportare le misure del solido sui tre assi;
- Tracciare le rette parallele ai tre assi, passanti per i punti relativi alle misure del solido;
- Ripassare gli spigoli in vista del solido con linea continua, mentre gli spigoli nascosti con linea tratteggiata.
Assonometria obliqua monometrica e dimetrica (cavaliera)
di Daria Bianchi
L’assonometria (figura) è un metodo di rappresentazione grafica trattato dalla geometria descrittiva.
Il principio base è la proiezione di un oggeto geometrico su un piano (piano di proiezione o quadro). Una caratteristica dell’assonometria è di poter rappresentare contemporaneamente tre facce di uno stesso parallelepipedo rettangolo.
Nell’assonometria obliqua il piano assonometrico è parallelo ad uno dei piano di riferimento e i raggi proiettanti sono obliqui ad esso. Queste assonometrie hanno un aspetto leggermente deformato ma sono tra le più usate per la loro facilità esecutiva.
L’assonometria può essere rispettivamente di due tipi: monometrica e dimetrica(cavaliera).
Nell’assonometria monometrica (video) il piano proiettante è parallelo al piano orizzontale. Le misure non variano sia in pianta sia in alzato.
Nell’assonometria dimetrica (cavaliera) (video) (immagine)il piano proiettante è parallelo al piano verticale. L’asse assonometrico y è inclinato di 45° e questo da un effetto ottico di allungamento degli oggetti. Si usa perciò ridurre (solitamente di metà) le misure relative all’asse perpendicolare al quadro.
Storia della prospettiva
di Alessia Concato
Dal punto di vista linguistico, il vocabolo “prospettiva” è la forma femminile sostantivata di “prospettivo”, derivante a sua volta dal latino tardo “prospectivus”, “che assicura la vista”. Nel campo degli studi ottici medievali la perspectiva indicava l’ottica stessa (perspectiva naturalis), intesa come percezione visiva. In particolare indicava la pratica per misurare le distanze e llunghezze inaccessibili tramite un rilevamento indiretto.
Antichità: la prospettiva fu il primo tra i metodi di rappresentazione ad essere codificato. Non si trovano però riferimenti ad essa negli antichi trattati classici di geometria e la perdita totale della grande pittura parietale greca non ci permette di sapere con sicurezza se quei pittori adoperassero o meno procedimenti tecnici utili a una corretta rappresentazione prospettica del reale. Dai cospicui resti di pittura romana pervenutaci notiamo che il disegno delle linee che definiscono gli ambienti architettonici è molto approssimativo e lascia capire che, almeno nell’ambiente romano, i sistemi operativi per ottenere gli effetti prospettici nelle immagini erano del tutto intuitivi.
Medioevo: durante l’alto Medioevo (476-1000 a.C.), i problemi connessi alla rappresentazione furono quasi completamente trascurati, in quanto il fine delle arti figurative era evocare il trascendente, tralasciando però, anche volutamente, la ricerca di effetti di un oggettivo realismo nelle immagini.
Solo a partire dalla fine del Duecento, e soprattutto con l’opera pittorica di Giotto, la restituzione illusionistica della realtà e la corposità delle figure tornò ad essere un tema di interesse primario e un obiettivo da raggiungere nelle rappresentazioni. Già verso la metà del XIV secolo si era giunti a risultati tutt’altro che trascurabili, come dimostra l’Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti conservata alla Pinacotaca Nazionale di Siena.
Primo Rinascimento: all’inizio del Quattrocento, ad opera del grande architetto fiorentino Filippo Brunelleschi, si ebbe un primo salto di qualità, si può dire di ordine scientifico. Attraverso studi ed esperienze condotte con l’aiuto di strumenti ottici, Brunelleschi pervenne ad un procedimento metodologico per rappresentare gli edifici in prospettiva, che illustrò graficamente in due tavolette andate purtroppo perdute, ma che sostanzialmente conosciamo grazie alla prima trattazione scritta dell’argomento, il De Pictura (1434-1436), scritto dall’umanista ed architetto Leon Battista Alberti.
Un risultato ammirevole, di certo fortemente influenzato dalle scoperte del Brunelleschi, e precedente agli scritti dell’Alberti, possiamo vederlo nella famosa Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze.
È opportuno sottolineare il differente modo di riguardare il problema di Leonardo rispetto agli artisti delle generazioni precedenti. Mentre l’Alberti, considerando le relazioni fra immagine e oggetto reale, pone l’attenzione su rapporti di proporzionalità, Leonardo più sinteticamente mette a fuoco la similitudine, una delle proprietà che sarà fondamentale nello stimolare i successivi sviluppi di ordine teorico.
Rinascimento maturo: in mancanza di sicure basi matematiche, le ricerche sul fenomeno della percezione visiva venivano condotte con semplicissimi strumenti, o al massimo con rudimentali camere oscure. Di questi strumenti e del loro uso, oltre alle descrizioni letterarie, abbiamo delle nitide rappresentazioni in alcune notissime incisioni su legno di Albrecht Dürer, inserite come illustrazioni in un suo trattato indirizzato ai giovani artisti. L’opera è nota anche perché in essa si trovano chiare applicazioni di doppia proiezione ortogonale, fra le prime ad essere così sicuramente documentate. Le xilografie a cui si è fatto cenno mostrano come da una postazione fissa, mirando l’oggetto attraverso un vetro fissato a una cornice o rilevando la posizione di punti della sua proiezione su uno sportello, se ne possa disegnare il perfetto scorcio. L’interessamento appassionato dei pittori alla prospettiva non era indotto solo dal desiderio di trovare espedienti per giungere a una corretta rappresentazione del reale. Oltre a conferire all’arte supporti di carattere scientifico, la ricerca era finalizzata a dare evidenza a una concezione filosofica del mondo, basata su un ordine razionale distribuito a tutto il creato. Tale funzione giunse alle sue massime espressioni nel periodo compreso fra la tarda attività di Piero della Francesca e i primi decenni del Cinquecento, prima che il Manierismo si insinuasse a rompere l’equilibrio della precedente visione. Si pensi ad esempio all’affresco di Raffaello nella stanza della Segnatura in Vaticano, noto come La scuola di Atene.
Nei due secoli d’oro del Rinascimento al problema della prospettiva furono quindi interessati quasi esclusivamente gli artisti. Le personalità citate non erano però sprovviste di cognizioni matematiche, e nel caso di Piero della Francesca si ha un vero cultore della materia, tanto da poter essere definito un valente geometra. Essendo in prevalenza pittori e non potendo oltrepassare ristretti limiti sul piano teorico, dato che gli strumenti matematici a disposizione erano ancora sostanzialmente quelli conosciuti nell’antica età ellenistica, l’aspetto a cui dedicarono le maggiori attenzioni fu l’effetto del digradare dei toni e dei colori in rapporto alla distanza dal punto di osservazione, fino al loro svanire all’orizzonte. Discussero e scrissero molto cioè su quella che viene chiamata la “prospettiva aerea”, di origine nordica e veneziana.
Nella seconda metà del XVI secolo: il tema cominciò ad interessare studiosi non appartenenti al campo dell’arte, sia in Italia che fuori di essa. E contestualmente si ebbe un secondo salto di qualità, determinato dalla volontà di dare una sistemazione teorica ai procedimenti esecutivi fino ad allora suggeriti. Ciò si può già constatare nell’opera del pesarese Guidobaldo del Monte e in quella del fiammingo Simon Stevin.
Prospettiva “da sott’in su”: le esperienze accumulatesi nell’arco di oltre tre secoli erano tali che nel Settecento non esistevano ormai più segreti su come allestire graficamente una veduta prospettica; fra le molteplici connotazioni e valenze che nel corso della sua storia la prospettiva ha assunto non va certo dimenticato il suo uso a scopo illusionistico. Pur essendo questo un aspetto sempre più o meno insito nelle immagini con essa ottenute, un precipuo interesse per la simulazione è evidenziato da un particolare filone della pittura, quando con essa si vuole annullare la solidità della muratura per aprire illusivamente verso il cielo, ma spesso anche allegoricamente, soffitti e volte. La prima compiuta e celebre realizzazione di questa tendenza la si ammira nella Camera degli sposi di Andrea Mantegna nel Palazzo Ducale di Mantova, affrescata negli anni a cavallo del 1470.
Prospettiva solida: fra il complesso degli espedienti messi in atto con finalità particolari vanno ricordati anche quelli per realizzare le cosiddette “prospettive solide”, in cui l’effetto delle linee si compone con quello del rilievo plastico, fino anche ad ottenere spazi che appaiono più profondi di quanto in realtà non siano. Tecnica molto probabilmente già usata nelle scenografie teatrali in età ellenistica e romana, fu ripresa nel Rinascimento e nell’età barocca.
Nascita della geometria descrittiva: seguendo l’itinerario storico fin qui percorso, si comprende come la consumata abilità pratica di decoratori ed illustratori nel Settecento non avesse ancora un pieno corrispettivo nella consapevolezza teorica del problema. Questa fu però raggiunta di lì a poco. Il grande salto di ordine scientifico e tecnologico maturato nel XVIII secolo richiedeva anche una sistemazione delle scoperte fatte nei secoli precedenti, inducendo ad inserirle correttamente nelle diverse branche del sapere, secondo una visione organica di coerenza e di appartenenza. Per quanto riguardava le conoscenze relative a tipi di rappresentazione riconducibili alla geometria, il processo fu senz’altro favorito dalle esigenze che via via si presentavano nel campo della progettazione di beni materiali, per la cui produzione il lavoro artigianale veniva sempre più sostituito dal sistema industriale.
L’epoca contemporanea: in tempi più recenti sono state proposte concezioni fusioniste miranti a superare le divisioni che possono essere ritenute solo apparenti, concezioni che sono parte di un dibattito di amplissime proporzioni e tendente a ricercare i fondamenti strutturali su cui è costruito l’intero edificio della matematica, con la sua infinita rete di connessioni ed articolazioni. Ricerche che però non hanno messo in discussione la teoria fondante ritenuta ancora la più valida, quella degli insiemi.
Nel campo della pittura, è ovvio che la prospettiva non assolve più ad alcuna funzione da quando gli artisti, almeno quelli più rappresentativi, hanno interrotto con decisione il filo di una continuità che nel passato era durata dalla preistoria fino a quasi tutto l’Ottocento. Le avanguardie del Novecento, dal cubismo in avanti, mirano ad espressioni e ad effetti che non hanno nulla in comune con le finalità di una prospettiva. Questa invece rimane un validissimo strumento di indagine e di verifica per progettisti, architetti e designer, e per produrre immagini dei beni ideati da sottoporre all’attenzione di committenti e potenziali compratori.
Per tali scopi, una risorsa che offre prestazioni sotto vari aspetti enormemente superiori all’esecuzione manuale è quella costituita dagli elaboratori elettronici. Oggi sono disponibili applicazioni software con cui si possono ottenere modelli tridimensionali di qualsiasi oggetto, anche partendo dalle proiezioni ortogonali di esso, come anche si può avere la visualizzazione di ambienti e spazi virtuali del tutto simili a quelli reali. È poi possibile osservare questi modelli da qualsivoglia punto di vista, girando intorno ad essi od entrandovi, visualizzando contestualmente innumerevoli prospettive di essi.
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Teoria del colore
di Alessandro Vocaturo
I colori che si vedono sono il risultato di un fenomeno fisico: la scomposizione della luce che viene captata dall’occhio umano. Un fascio di luce che colpisce una superficie trasparente e sfaccettata, come ad esempio un prisma, si scompone in un’infinità di colori. Questi colori sono chiamati colori base perchè combinati tra loro in tutti i modi possibili originano tutte le tonalità di colore esistenti. Il nostro occhio percepisce solo una piccola parte delle onde luminose esistenti in natura e a questa corrisponde uno spettro che si può ridurre in sette colori: il rosso, l’arancione, il giallo, il verde, l’azzurro, l’indaco e il violetto.
Il fisico inglese Isaac Newton dimostrò, nel 1672, che la luce, che vediamo bianca, è in realtà composta dai sette colori dello spettro solare. Nel suo esperimento Newton fece passare un raggio di luce attraverso un prisma di cristallo. Il raggio si scompose così nei colori dello spettro solare, dimostrando che il bianco è la somma di quei colori. L’oggetto che riflette tutte le onde luminose appare bianco (somma di tutti i colori); l’oggetto che assorbe tutte le onde, senza restituirle ai nostri occhi, viene visto dai nostri occhi nero (assenza di colori); l’oggetto che assorbe tutte le onde tranne uno, ha il colore corrispondente a quell’unica onda. Per questa ragione alcuni artisti definiscono il bianco e il nero “non colori” perché il bianco è dato dalla somma di tutti i colori, il nero dall’assenza di colori.
Suddivisione dei colori
Colori primari: sono il magenta, il giallo e il ciano e non sono ottenibili dalla mescolanza degli altri colori della gamma cromatica dello spettro solare;
- Colori secondari: sono il verde, l’arancione e il viola e si ottengono mescolando due primari in parti uguali;
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Colori terziari: si ottengono mescolando due colori primari in proporzioni disuguali;
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Colori complementari: sono due colori in contrapposizione tra loro. Sulla ruota dei colori sono uno di fronte all’altro come ad esempio blu e arancio, giallo e viola, rosso e verde;
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Colori caldi: sono colori le cui sfumature tendono al rosso e al giallo;
- Colori freddi: sono colori le cui sfumature tendono al verde e al blu.
Prospettiva centrale
di Antonio Fattore
La Prospettiva Centrale è uno dei principali metodi di rappresentazione appartenenti al corpo della geometria descrittiva, scienza che si occupa di rappresentare in modo inequivocabile su uno o più piani, oggetti bidimensionali e tridimensionali. In particolare il metodo della prospettiva centrale consente di costruire l’immagine di una figura dello spazio su un piano, proiettando la stessa da un centro di proiezione posto a distanza finita. Il metodo della prospettiva centrale fu il primo ad essere teorizzato all’inizio del Quattrocento, grazie all’opera del grande architetto fiorentino Filippo Brunelleschi(vedi Storia della prospettiva).
Attraverso la prospettiva posso ottenere la rappresentazione su un piano che simuli la visione umana della tridimensionalità dello spazio fisico.
Elementi principali della prospettiva
Punto di vista (PV):punto dove si immagina l’occhio dell’osservatore
Piano di terra o geometrale (PG):piano sul quale vive l’oggetto da rappresentare
Quadro o piano prospettico (PP):piano perpendicolare al piano di terra posto fra l’oggetto ed il PV;
è su esso che si forma l’immagine in prospettiva dell’oggetto
Piano di orizzonte (PO): piano immaginario passante per PV e parallelo al piano di terra
Punto principale (P): proiezione ortogonale del punto di vista sul quadro detta anche distanza
principale o semplicemente distanza perché indica la distanza dell’osservatore dal quadro
Punto di stazione (Ps): proiezione ortogonale del punto di vista sul piano geometrale
Linea di terra (LT): retta d’intersezione fra ilquadro ed il piano di terra
Punto sulla linea di terra (Pt): proiezione ortogonale del punto principale e del punto di stazione sulla linea di terra
Linea di orizzonte (LO): retta d’intersezione fra il quadro ed il piano di orizzonte. Per costruzione è parallela alla linea di terra e la sua distanza da essa indical’altezza dell’occhio dell’osservatore. Raggi visuali:rette che congiungono il PV con ipunti che costituiscono l’oggetto da rappresentare (quali ad esempio retta PV-A,PV-B,PV-C)
Vedi figura 1
Metodo geometrico
Dei vari metodi di rappresentazione geometrica esistenti, riportiamo qui il più completo. Il sistema del ribaltamento.
Infatti tutti gli altri metodi esistenti presentano, sostanzialmente, una grossa scomodità dovuta al fatto che, anche per determinare l’immagine prospettica di un oggetto molto semplice quale ad esempio un quadrato, bisogna ricorrere alla suddivisione del lavoro in due parti: la figura preparatoria sul PP e, in secondo luogo, la costruzione della figura prospettiva sul quadro. Con il sistema di ribaltamento, per preparare l’esecuzione in prospettiva occorre ribaltare di 90° sia il semipiano su cui giace la figura, sia il semipiano su cui sta il punto di vista in modo che entrambi si trovino sullo stesso semipiano. In altre parole, con tale procedimento, si riportano l’oggetto iniziale ed il PV sul medesimo semipiano in modo tale che quest’ultimo si possa considerare come il prolungamento del quadro sotto la LT.
Vedi figura 2
Nella fase esecutiva si proiettano sulla LT i punti significativi della figura che, in un secondo tempo, vengono uniti ai relativi punti di fuga mediante le rette proiettanti. L’intersezione delle linee proiettanti forniscono i punti che uniti fra loro determinano l’immagine prospettica dell’oggetto. Osserviamo che l’oggetto da rappresentare, considerato nel semipiano sottostante al quadro, risulta rovesciato in pianta rispetto alla relativa immagine prospettica e che tali risulteranno essere anche le rette necessarie per determinare i punti di fuga. Riassumendo, tre sono le caratteristiche di tale procedimento: ci consente di vedere in modo istantaneo il variare dell’immagine prospettica al mutare delle dimensioni dell’oggetto considerato. Possiamo vedere su un unico piano l’oggetto iniziale e la sua immagine prospettica (e quindi non abbiamo più la necessità di suddividere il lavoro) permette una notevole rapidità esecutiva. Quest’ultimo metodo appena descritto appare pertanto come il più semplice ed allo stesso tempo il più completo nella determinazione delle immagini prospettiche.
Vedi figura 3
Metodo pratico
La prospettiva lineare è stata inventata per realizzare immagini spaziali geometriche viste da un solo punto e a occhi fermi. Si tratta quindi di un procedimento grafico convenzionale che il cervello è in grado di leggere e decodificare.
La prima cosa che conta è stabilire l’altezza della linea d’orizzonte (LO), la linea immaginaria che passa costantemente a livello dell’occhio.
Poi bisogna stabilire la posizione della linea di terra (LT) che è anch’essa convenzionale e rapresenta la linea di base. Sulla linea dell’orizzonte si colloca il punto di fuga principale P, o punto di vista, che è la proiezione del raggio visivo perpendicolare all’occhio dell’osservatore e il punto verso cui convergono tutte le linee della rappresentazione grafica prospettica.
Vedi figura 4
Copiando qualunque veduta, la linea d’orizzonte si manterrà sempre a livello dell’occhio dell’osservatore. Così se l’osservatore copierà un veduta stando a livello del terreno, l’orizzonte gli apparirà vicino ed egli avrà una visuale limitata; se copierà da una altezza maggiore la linea dell’orizzonte si sposterà più lontano e la visione sarà più ampia; se invece salirà ancora più in alto, l’orizzonte si allontanerà ancora, consentendo una visione molto più ampia.
Vedi figura 5
Nella prospettiva centrale, avendo un solo punto di fuga, le linee parallele tra loro, ma perpendicolari all’osservatore (come i margini di una strada, un viale alberato, i fili del telegrafo…) convergono idealmente in un unico punto all’orizzonte. Le linee verticali sembrano decrescere in altezza, invece le linee parallele alla terra rimangono orizzontali e parallele, ma sembrano avvicinarsi sempre più l’una all’altra, fino a confondersi con l’orizzonte.
Vedi figura 6
Cenni di storia
Prima di Brunelleschi
Nelle opere di Giotto, Duccio, Ambrogio e Piero Lorenzetti si possono riconoscere diversi “stratagemmi” che in alcuni casi coincidono con la prospettiva lineare, ma in modo piuttosto casuale mancando “prove teoriche” che dimostrassero l’esemplarità di un procedimento rispetto a tutti gli altri.
Giotto: La conferma della Regola di S. Francesco, 1325 ca. Firenze, S. Croce, Cappella Bardi
Seguace di Giotto: Disputa di Gesù nel Tempio, Assisi, Chiesa inf. Di S. Francesco
Duccio: La tentazione di Cristo al tempio nella Maestà, 1308-11, Siena, Museo dell’Opera del Duomo
Piero Lorenzetti: La nascita della Vergine, 1342, Siena, Museo dell’Opera del Duomo
L’opera di Brunelleschi
I fondamenti della costruzione prospettica sono concordemente attribuiti a Filippo Brunelleschi e databili non dopo il 1413. Solo a questa data si ha l’elaborazione di un sistema internamente coerente per tutti gli elementi spaziali e di cui sia dimostrata la non arbitrarietà.
Quel che ha effettivamente fatto Brunelleschi è però oggetto di discussione perché non resta un documento grafico, ma solo la narrazione del suo primo biografo (generalmente identificato in Antonio Manetti) che descrive due tavolette prospettiche dimostrative ora perdute che ritraevano il battistero e piazza della Signoria a Firenze. La particolarità dell’apporto brunelleschiano sta nella sua “dimostrazione” : per osservare la sua opera costruì un visore. La tavoletta dipinta aveva un foro in corrispondenza del punto in cui il suo raggio visivo incontrava il battistero lungo l’asse perpendicolare, l’osservatore guardando attraverso il retro della tavoletta nel foro vedeva il dipinto riflesso in uno specchio tenuto di fronte. La procedura di Brunelleschi era applicata a edifici esistenti (il battistero, palazzo Vecchio) e se replicata avrebbe potuto riprodurre solo l’edificio preso come soggetto; mancava un metodo che fosse applicabile per uno spazio immaginario: solo intorno al 1425 si hanno le prime opere eseguite secondo i principi della scienza prospettica.
Vedi i primi esempi applicati ad uno spazio immaginario si trovano in Donatello
Gli studi più significativi:
La seconda fase nello sviluppo dei principi prospettici è più propriamente teorica, ovvero una descrizione sistematica e finalmente scritta del procedimento.
Coinvolti in questa operazione troviamo:
Leon Battista Alberti nel primo libro – sono tre – del De Pictura, di cui abbiamo una versione in latino del 1435 dedicata a Giovanfrancesco Gonzaga, principe di Mantova ed una seconda versione in volgare del 1436 dedicata a Brunelleschi,
Lorenzo Ghiberti (nei suoi Commentari scritti in tarda età),
Piero della Francesca (De Prospectiva pingendi, 1474 ca.).
Il Lomazzo, attribuisce trattati anche a suoi conterranei: Foppa, Zenale, Butinone, Bramantino (non restandone traccia, è dubbio sapere se si tratti di affermazioni campanilistiche o meno).
La pratica della prospettiva da Firenze si estende rapidamente soprattutto a nord, in particolare si segnalano Padova con la presenza di Donatello e Paolo Uccello, e dove si formerà il Mantegna (a bottega dallo Squarcione) e dove passerà anche Jacopo Bellini, e Milano con le figure di Foppa, Bramante ed il Bramantino.
Leonardo da Vinci si è occupato di ogni aspetto della prospettiva. Leonardo ha una partenza simile a quella degli altri “prospettici” ben visibile nella sua giovanile Annunciazione (1472-73 ca.) ora agli Uffizi e il cui apice si potrebbe trovare nella sua Ultima cena (1497 ca.). Ma poi Leonardo inizia a riflettere sui limiti della prospettiva , studia le anamorfosi (sembra sia stato il primo a farlo), il principale indiziato è il punto di vista unico: appena ci si allontana da quel punto l’illusione svanisce. In Leonardo affiora il superamento del modello prospettico quando inizia con gli studi di anatomia a cercare “dentro” il corpo. Emergono così due ordini di conoscenza del corpo, quello immediatamente visibile all’occhio e quello nascosto, da scoprire e ricostruire.
Leonardo insomma è il primo “critico” del metodo prospettico.
Leonardo da Vinci: L’ultima cena, Milano,refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie.
Lo studio della prospettiva al di fuori dell’Italia:
Albrecht Dürer è il primo ad adottare i nuovi principi prospettici, acquisiti durante due viaggi in Italia (nel 1497 e nel 1506).
L’influenza riscontrata è riconducibile agli studi delle opere di Piero e Leonardo. E’ dopo il secondo viaggio (a Bologna, un non meglio identificato esperto gli insegna l’arte segreta della prospettiva) che crescono i suoi studi geometrici, testimoniati in due importanti trattati dureriani.
Il primo è un trattato di geometria in quattro libri e scritto in lingua volgare tedesca, dedicato ai giovani artisti tedeschi “cresciuti – scrive Dürer – nell’ignoranza come alberi mai potati”:Underweysung der Messung… (“Ammaestramenti sulla misurazione col compasso e la squadra nelle linee, nei piani e nei corpi interi”), pubblicato a Norimberga nel 1525 con una successiva edizione latina del 1538. Il quarto libro si conclude con l’analisi della prospettiva geometrica; vi troviamo la tecnica proporzionale della digradazione prospettica, e la proiezione prospettica di un cubo attraverso l’uso dell’intersezione su un piano mediante pianta e prospetto.
Altro testo di Dürer pubblicato postumo nel 1528 (terminato nel 1523 circa) s’intitola Vier Bucher von menschlicher Proportion (“Quattro libri sulla proporzione umana”) ed è dedicato alla stereometria del corpo umano in relazione ai suoi movimenti nello spazio. L’ispirazione può essergli venuta guardando a Piero o a Leonardo. La tecnica usata è quella della proiezione ortogonale che è di fatto diversa dalla prospettiva centrale: la riduzione delle dimensioni si verifica infatti per una sola coordinata per volta. Da sottolineare che la differenza sostanziale tra questa “trasformazione parallela” e le regole della prospettiva centrale, se è incerto fosse stata capita da Dürer, è stata poi fonte di grossi fraintendimenti per molti a lui posteriori (compresi Daniele Barbaro o Jean Cousin).Due pubblicazioni sulla scia dell’opera di Dürer sono il libro sulle misurazioni di Hieronymus Rodler (Simmern, 1531) ed il trattato sulle proporzioni di Erhard Schön (Basilea, 1540).
Una fioritura di studi si ebbe a Norimberga (città Natale di Dürer), i “prospettici” di Norimberga si specializzarono nella rappresentazione di corpi geometrici ed in particolare dei solidi platonici (sotto l’influenza del De divina proporzione di Luca Pacioli con i disegni di Leonardo, del 1509):
la Geometria di Augustin Hirschvogel pubblicata nel 1543,
la Perspectiva di Lorenz Stoer pubblicata nel 1556,
la Perspectiva corporum regolarium di Wenzel Jamnitzer pubblicata nel 1568,
la Perspectiva di Hans Lencker pubblicata nel 1571. In Francia l’interesse per la prospettiva ebbe un risvolto più pragmatico legato alla rappresentazione di spazi architettonici realistici.
Nel 1505 (seconda ed. nel 1509) esce il De artificiali perspectiva di Jean Pélerin (canonico di Toul) sotto lo pseudonimo di “Viator”. Questo è non solo la prima pubblicazione sulla prospettiva per gli artisti dei paesi d’oltralpe, ma anche il primo in assoluto ad essere illustrato con esempi concreti di prospettiva applicata. Il sistema del Viator si fonda sul metodo del punto di fuga centrale associato all’uso dei due “tiers points”, oggi comunemente detti “punti di distanza” (resta però incerto il rapporto tra la posizione di questi punti e la distanza dell’osservatore dal piano d’intersezione).Il libro di Viator fu plagiato in modo piuttosto palese dal Margarita Philosophica di Gregor Reisch nel 1508.
Prospettiva accidentale
di Giorgia Borrelli
Guardando ciò che ci circonda possiamo notare che gli oggetti non hanno un lato parallelo al piano di proiezione, per questo è stata creata la prospettiva accidentale, che aiuta a regolare la disposizione di questi oggetti creando spazi e volumi. Nella prospettiva accidentale, a differenza di quella centrale dove le linee prospettiche convergono nel punto focale centrale, le linee convergono verso i punti focali laterali. Si differenzia da quella centrale anche per il quadro prospettico. Una buona prospettiva si ottiene disponendo il quadro nella figura
preparatoria con inclinazioni diverse, per esempio 30°, 60° rispetto ai lati del rettangolo entro il quale è inquadrato l’oggetto.
Metodi usati nella prospettiva accidentale:
Il metodo dei raggi visuali
Consideriamo dapprima il piano geometrale visto dall’alto e riportiamo la linea di terra LT (coincidente con LO), il punto di vista PV e la sua proiezione su LT Pt (coincidente con P).
Supponiamo di voler determinare l’immagine prospettica di un rettangolo ABCD. (figura 1)
Seguendo le ormai note operazioni preparatorie, si conducono dal PV le parallele ai lati del rettangolo di cui sopra che determinano i punti di fuga Fs ed Fd.
In essi concorrono rispettivamente tutte le rette parallele alle semirette che li hanno determinati.
Dal PV si conducono i raggi visuali verso i punti della pianta che intersecano la LT nei punti 1, 2, 3, 4 (si osservi che il punto 3 è coincidente con A).
Per la costruzione della prospettiva consideriamo il solo quadro e tracciamo su di esso la LT e la LO alla distanza che crediamo più opportuna.
Sulla LO riportiamo, nel rapporto stabilito, i punti di fuga e sulla LT i punti 1, 2, 3, 4.
Successivamente da 3 conduciamo le concorrenti a Fs e Fd che, intersecate dalle verticali condotte dai punti 1 e 4 riportati sulla LT, forniscono i punti D’ e B’.
Poiché rette parallele hanno il medesimo punto di fuga, tracciamo da B’ la retta per Fs e da D’ la retta per Fd.
Queste ultime due rette si incontreranno nel punto C’ che dovrà coincidere con la perpendicolare a LT tracciata dal punto 2.(figura 2)
Il metodo dei punti di distanza
Consideriamo sempre il nostro piano geometrale visto dall’alto e costruiamo la prospettiva di un quadrato avente uno dei vertici appartenente alla LT. (figura1)
Una volta scelto il PV, tracciamo sulla LT (coincidente con la LO) il punto Pt e i punti di distanza D e D’. Quindi dai vertici del nostro quadrato conduciamo le parallele alla retta passante per PV e D che intersecheranno la LT neipunti 1, 2, 3 rispettivamente.
Tracciamo poi le proiezioni dei vertici B, C, E sulla LT ottenendo i punti B’, C’ (coincidente con 1), E’. Abbiamo così ottenuto tutti gli elementi essenziali per determinare la nostra immagine prospettica. Poniamo ora la nostra attenzione esclusivamente sul quadro.
Riportiamo la LO con i punti P, D, D’ e la LT su cui tracciamo i punti appena determinati.
Uniamo le proiezioni dei vertici con il punto principale P e congiungiamo i punti 1, 2, 3 con D.
Abbiamo così trovato i vertici B”, C”, E” dell’immagine prospettica cercata. (figura2)
Il metodo dei punti di fuga e delle perpendicolari al quadro
Questo metodo si basa sul principio dell’individuazione di qualsiasi spigolo dell’oggetto attraverso la ricerca del punto di fuga della retta passante per esso.
Determiniamo la prospettiva di un quadrato iniziando a determinare i punti necessari alla costruzione sulla pianta. Consideriamo la visione dall’alto del nostro piano geometrale.
Come primo passo determiniamo i punti di fuga Fd, Fs dei lati del quadrato tracciando dal PV rette parellele ad essi. Quindi prolunghiamo i lati del quadrato in modo da ottenere i punti 1, 2
come intersezione di questi ultimi con la LT. (figura1)
Consideriamo ora solo il quadro e riportiamo i punti trovati sulla LT.
Uniamo A’ (prospettiva di A) con Fs e Fd ottenendo così la prospettiva dei lati AE ed AB rispettivamente. In modo analogo congiungiamo il punto 2 con Fs ed il punto 1 con Fd ottenendo così la prospettiva dei lati BC ed EC rispettivamente. Per ultimare la figura basterà segnare le intersezioni di queste ultime rette che forniranno i vertici A’, B’, C’, E’ del quadrato prospettico.(figura2)
Osserviamo che, qualora uno dei due punti 1 e 2 fosse risultato in pianta troppo lontano dal punto Pt, avremmo potuto trovare ugualmente la prospettiva della figura ricorrendo almeno ad altri due procedimenti. Il primo ricorre al metodo delle rette perpendicolari al quadro, il secondo si avvale dell’aiuto della geometria proiettiva.
Il metodo delle rette perpendicolari al quadro
Supponiamo che il prolungamento del lato CB cada sulla LT troppo lontano e che quindi il punto 2 esca dal nostro piano di lavoro.
Per ovviare il problema consideriamo il vertice di tale lato che si trova più vicino alla LT (B) e proiettiamolo ortogonalmente su di essa. Otteniamo un nuovo punto 2′. (figura1)
Per la costruzione della figura si procede esattamente come in precedenza: uniamo i punti 1 ed A’ con Fd e 2′ con P. L’intersezione fra le rette A’Fd e 2’P fornisce il vertice B’ del quadrato che una volta unito con Fs darà luogo al vertice C’. (figura2)
Il metodo dei punti misuratori
Tutti i metodi finora descritti presentano una certa difficoltà nella riproduzione delle dimensioni reali dell’oggetto nell’immagine prospettica, infatti, le misure degli spigoli sono sempre proiettate sulla LT con rapporti di riduzione od ingrandimento e mai nelle loro dimensioni effettive.
Il metodo dei punti misuratori, che deriva direttamente da quello dei punti di fuga, supera queste difficoltà basandosi sui principi contenuti nel teorema di Talete sui segmenti proporzionali: rette parallele che intersecano due qualsiasi rette appartenenti allo stesso piano determinano, su queste ultime, segmenti proporzionali.
Ne segue che le dimensioni dell’oggetto vengono riportate fedelmente od in modo proporzionale sulla LT.
Costruiamo quindi la figura preparatoria considerando la visione dall’alto del geometrale.
Una volta scelto il PV determiniamo sulla LT i punti di fuga Fs e Fd relativi ai lati AD (CB) e AB (DC) rispettivamente.
Centriamo quindi in Fs ed Fd e ribaltiamo il PV sulla LT dando luogo ai punti Ms ed Md rispettivamente.
Successivamente centriamo in A e ribaltiamo i punti B e D sulla LT dando origine ai punti B’ e D’.
Poiché il segmento che congiunge B con B’ risulta parallelo al segmento che congiunge il PV con Md, quest’ultimo sarà il suo punto di concorso o misuratore.
Lo stesso vale per Ms che risulta essere il punto misuratore del segmento DD’ (parallelo al segmento PVMs).(figura1)
Passando all’immagine prospettica, posizionati gli usuali elementi della prospettiva LO, LT, P, ed i punti di fuga Fs ed Fd riportiamo sull’orizzonte anche i punti misuratori Ms ed Md.
I punti misuratori sono punti di fuga che esercitano la loro influenza nelle porzioni di spazio in cui si sono eseguiti i ribaltamenti, per cui nel disegno prospettico, una volta determinate le linee principali della prospettiva (ovvero le rette AFs ed AFd) dobbiamo percorrere, dalle tracce sulla LT, le porzioni di spazio comprese fra la LT e le linee principali della prospettiva concorrendo ai propri misuratori situati dal lato opposto; nella restante porzione di spazio,compresa fra le AFs ed AFd, le rette concorreranno normalmente ai rispettivi punti di fuga.(figura2)
Come esempio nella storia dell’arte riporto un lavoro del Beato Angelico: è chiaro l’impianto della prospettiva accidentale (nessuna parete del castello sullo sfondo a sinistra è parallela al quadro).
La prospettiva accidentale sembra usata dall’Angelico quando vuole rappresentare scene con un più vasto respiro spaziale. Usa invece le prospettive frontali per spazi più limitati. (figura1)
Come esempio architettonico pongo un castello e una stanza.(figura2) (figura3)