Rube Goldberg disegnò nella prima metà del secolo scorso tutta una serie di macchine assurdamente complicate per ottenere funzioni semplici, banali, nella maggior parte dei casini inutili. Goldberg non era solo un cartoonist ma anche un ingegnere, un inventore ironico, un progettista dell’effimero.
Diede vita a una serie infinita di trasposizioni sia nei fumetti che nel mondo cinematografico. Più di recente le sue fantastiche macchine hanno avuto una rivalutazione se le cercate in YouTube troverete centinaia di applicazioni divertenti.
La macchina di Goldberg è anche il paradigma del modo in cui progettano molti designer impegnati a lavorare sulle funzioni elementari senza esplorare discipline magari distanti ma risolutive.
Nell’era pre-iPhone accadeva proprio questo. La complessità formale e funzionale era un obbligo. Basta guardare i telecomandi o le interfacce dei decoder televisivi. Adesso stiamo ricadendo nell’opposto: si riduce il controllo delle macchine per ridurne la complessità funzionale.
Non posso immaginare un amplificatore senza equalizzatore, una casa acustica senza un woofer. I nostri palati forse si sono desensibilizzati ma il problema rimane.
Per progettare oggetti semplici bisogna spaziare tra diverse conoscenze, tra diverse discipline, conoscere materiali, tecniche, applicazioni che magari nulla hanno a che vedere con il progetto in corso. Solo così sarà possibile creare oggetti usabili, intelligenti e che rispondano alle esigenze degli utenti.