Si parla tanto di giornalismo diffuso, ma nelle nostre case arrivano sempre e solo le notizie filtrate prima dalle agenzie e poi dalle redazioni. In estate specialmente, ma pare ormai un male diffuso tutto l’anno, si pubblicano solo notizie strane, si parla del caldo, si intervistano i passanti chiedendo se hanno caldo.
Quello che succede fuori dalla nostra portata visiva viene ignorato, bollato come non interessante.
Ma invece lo è. Non solo perché siamo un mondo piccolo e ogni fatto si ripercuote sulla nostra vita, ma perché alcune notizie devono avere lo sdegno del paese.
È il caso del Kashmir.
Marcella Boccia è una raffinata scrittrice ed è anche nostra amica su Facebook. Marcella è anche una appassionata e conoscitrice del Kashmir e in questi giorni si trova proprio li. Attraverso i social network ci fornisce informazioni e immagini di prima mano, tutti i giorni. Svolge un lavoro che una volta, quando c’erano i soldi per farlo e la dignità della stampa, veniva svolto dagli inviati dei giornali.
Nelle ultime ore la situazione in Kashmir si è complicata e Marcella scrive:
Srinagar – Kashmir. Ore 02:30: presto, presto, saliamo in moto ed andiamo, gli studenti arrivano.
Io ed il mio amico giornalista Alessandro Del Grande (non e’ il suo nome, e non posso rivelarlo, perche’ gia’ piu’ volte e’ stato arrestato ed interrogato per i suoi articoli), facciamo una corsa alla Jamia Masjid. E’ li’ che partono le proteste e gli scontri con i soldati.
I ragazzi arrivano. Mi dico: non possono essere loro, sono dei bambini…
Iniziano a coprirsi il volto e ne ho la conferma.
Studenti del College, ma anche piu’ piccoli.
Mi dicono di non riprendere i loro visi. Ed io so il perche’. Li rassicuro: riprendero’ le gambe.
Io ed Alessandro li seguiamo.
Scatto qualche foto, iniziano a spaccare i sassi, a farne dei pezzi piccoli da lanciare.
In lontananza si vede un soldato. Parte una pietra, e i soldati si moltiplicano.
Sono organizzati: ad ogni piccolo sasso che gli studenti lanciano, ne tornano indietro molti, e non sono sassi: sono grandi biglie di vetro. Io mi trovo accanto ad una saracinesca, e quando le biglie la colpiscono, il rumore e’ assordante.
La sassaiola dura molti minuti, circa mezz’ora, ma a me sembrano ore…
Gli studenti urlano: “Via, andate via dal Kashmir. Vogliamo il Kashmir libero.
Kashmir libero.
Kashmir libero”.
Alessandro mi dice che dobbiamo spostarci, e’ preoccupato, ci troviamo in un posto in cui e’ difficile scappare. In quell’esatto istante, accade il finimondo.
Scappa, scappa mi urla…
Corriamo, qualcuno mi urta, cado.
Sono rimasta per terra per qualche istante, ho alzato la testa ed ho visto di fronte a me gli studenti, e dietro i soldati con i fucili spianati.
Hanno preso due ragazzi, li interrogheranno, e gli toglieranno tutti i diritti civili: niente lavoro, niente matrimonio, niente passaporto.
Li osservavo, riflettendo su cosa fare. Pensavo che mi avrebbero presa. Ero stata avvertita di proteggere la macchina fotografica, perche’ di solito, per non avere problemi con le ambasciate, non portano via i giornalisti, ma sequestrano le foto ed i video.
La macchina era sotto di me, ci sono caduta sopra.
Un uomo, in sarong bianco, mi ha urlato: scappaaaaa.
Mi sono alzata, avevo i soldati a pochi metri. Gli studenti mi hanno protetta: hanno distratto i soldati lanciando altre pietre ed ho avuto il tempo di scappare. Alessandro era preoccupato, mi urlava di correre.
Ora sono qui. In un internet cafe. A raccontare a voi cosa accade in Kashmir.
Perché? Perche’ ho male a braccia e gambe ed il cuore in gola?
Per voi.
Perché sappiate cosa accade qui e scegliate di farlo sapere al mondo.
Io ho bisogno di voi.
I kashmiri hanno bisogno di voi.
Condividete e fate sapere.
P.S. Eravamo in tre a scattare foto. I due foto reporter che erano a pochi metri da me sono stati arrestati ed ora sono in ospedale.
Con Amore.
Marcella Boccia
Passano poche ore e Marcella ci aggiorna.
I due fotoreporter che ieri erano con me alla protesta degli studenti, sono stati arrestati, picchiati e spediti all’ospedale, nonostante avessero mostrato i tesserini da giornalista.
Il 19 agosto 2011, penultimo venerdì di preghiera del Ramadan, i soldati indiani hanno, come ogni giorno, caricato gli studenti che protestano, da anni, contro l’occupazione militare del Kashmir. La battaglia per l’indipendenza kashmira si svolge spesso a colpi di sassi, quando i soldati non rispondono con i lacrimogeni ed i fucili. Solo nell’ultimo anno sono morti più di cento ragazzi.
La censura non permette di far sapere al mondo cosa accade. Le compagnie telefoniche sono state costrette a bloccare gli sms, che gli studenti usavano per organizzare i cortei di protesta.
Il venticinquenne Showkat Shafi, reporter del canale internazionale Aljazeera, e Narciso, dell’agenzia americana Zuma, sono stati presi dai soldati, picchiati con pugni, calci e bastonate, nonostante esistano, anche in guerra, leggi che proteggano la stampa. Ma non qui, non in Kashmir, non per i soldati indiani, eredi ingrati del Mahatma e della non violenza.
Le macchine fotografiche, ieri, erano tre: due sono state sequestrate; la terza, e’ nella mia camera, piena di graffi ed abrasioni, come le mie braccia e le mie gambe, ma e’ salva.
Foto e video di quello che accade in Kashmir sono nel web: visto il viaggio che hanno fatto, e nel rispetto dei due fotoreporter ora in ospedale, prendete quelle foto e quei video e aiutatemi a farli girare.
Per i kashmiri, che lottano da soli, nell’indifferenza dell’opinione pubblica mondiale.
Peace in Kashmir.
Stop alla violenza.
Grazie Marcella per lo splendido lavoro che fai. Fallo per tutti noi!