Lettera aperta di Marco De Michelis

Marco De Michelis dal 1973 insegna Storia dell’architettura presso il Dipartimento di Storia dell’architettura della Università IUAV di Venezia. È stato preside di Facoltà di design e arti/IUAV.
Per contribuire al dibattito riprendiamo la lettera aperta inviata al Consiglio di Facoltà. 

Milano, 15 maggio 2011

l’esperienza dell’ultimo consiglio di facoltà a cui ho partecipato mi ha convinto che sarà meglio in futuro che io mi astenga dal partecipare alle vostre discussioni.

Non vi nascondo che e’ stato per me molto penoso scontrarmi contro un muro di incomprensione, fino al punto di ricevere l’impressione che la facoltà che avevo contribuito a costruire dieci anni fa fosse ormai definitivamente estranea alle mie preoccupazioni e alle aspirazioni che ne avevano caratterizzato i primi anni di vita.

Non e’ davvero mio desiderio quello di apparire come qualcuno che pensa che tutto quello che faceva lui e’ giusto e quello che viene oggi proposto e’ invece sbagliato. So bene che il contesto generale –quello nazionale e anche quello locale- sono profondamente cambiati e che entrambi richiedono risposte originali e coraggiose. Ma e’ proprio quello che non riesco a riconoscere nelle scelte che vengono oggi proposte.

Non vi riconosco nessuna strategia dotata di un respiro culturale e politico capace di fornire indicazioni e risposte ai drammatici problemi che ci aspettano.

Da mesi continuiamo a ripetere che le scelte contingenti e organizzative devono risultare coerenti con un progetto strategico di lungo respiro per la facoltà e per l’intero ateneo. E il risultato e’ invece quello di scelte pasticciate, di cui non si capisce il fondamento se non quello di intravedere una possibile sopravvivenza (Di chi? Di che cosa?) che sarà invece minacciata proprio dal carattere imbelle dei sacrifici che inutilmente ci infliggiamo.

Gli assetti che sono stati sottoposti al giudizio del consiglio di facoltà rispecchiano puntualmente questo stato di confusione, di assenza di obiettivi e di principi, di una confusa ritirata all’insegna del si salvi chi può!

Il risultato e’ la conferma di un squilibrio crescente e ormai apparentemente irreversibile tra i corsi di disegno industriale quelli di arti. Cladis e specialistiche di design escono quasi intatte dalla recente revisione, mentre Claves e le due specialistiche di arti ne vengono fuori letteralmente massacrate, malgrado gli sforzi disperati di salvarne alcuni caratteri. Ma –questa e’ la domanda- perché non vale per i corsi di arti quella stessa “serenità” garantita soltanto a quelli di disegno industriale?

Quello che a me pare evidente e’ che l’area di disegno industriale viene in tal modo offerta, solida e strutturata, alla prossima riforma dell’ateneo, pronta a sopravvivere in qualsiasi delle future possibili configurazioni organizzative di IUAV ( uno o più dipartimenti, scuole o facoltà, accentramento attorno a architettura, ….), mentre i monconi sopravvissuti di arti non si capisce che futuro possano avere.

Se consideriamo più analiticamente i nuovi assetti proposti, si può osservare che:

–         il CLADIS vede confermati i 12 laboratori, con le denominazioni consuete e comprensibili da parte studenti, con compensi per i docenti a contratto mediamente di 20.000 euro e la aggiunta di 6 Minilaboratori che sono totalmente assenti in tutti gli altri corsi di laurea.

In questo modo la vocazione professionale del corso viene confermata e ne soffrono soltanto le discipline critiche e teoriche: scompaiono semiologia e storia della fotografia; alcuni corsi come storia dell’arte contemporanea vengono assegnati a colleghi privi di qualsiasi qualificazione specifica; nessuna opportunità di dialogo e di confronto viene prevista con altri corsi di laurea affini. Il rischio e’ quello di una scuoleta trevigiana!

 

–         Simile e’ la situazione delle magistrali di design, anche se la concentrazione dei tre indirizzi sembra       schiacciare gli assetti, privandoli di qualsiasi apertura coraggiosa e slancio sperimentale.

–         La situazione cambia drammaticamente nella magistrale di arti: i laboratori si articolano in laboratori,      laboratori integrati e laboratori intensivi, senza che a questa articolazione corrisponda alcun criterio didattico o culturali! E’ del tutto evidente che si tratta di trucchi e escamotage per aggirare la rigidita’ delle norme. Ma non si capisce perché i compensi debbano confusi e diversi da quelli dei corsi design. Non si capisce cosa i poveri studenti dovranno aspettarsi da questa nuova organizzazione. Non si capiscono orrori come l’assenza di corsi di storia e teoria dell’arte contemporanea, oltre a quello giustamente affidato a Vettese. Non si capisce perché un corso di Strutture drammaturgiche del teatro (45 ore, come tutti gli altri) preveda un compenso di 30.000 euro. Perché non e’ stato possibile per CLASAV/CLAST quello che e’ stato possibile per i corsi di design, cioè mantenere una struttura leggibile chiara e articolata, secondo un modello confermato in dieci anni di attività, che ha fatto di questi corsi protagonisti di assoluta eccellenza italiana e internazionale?

 

–         Mi limiterò a poche considerazioni a proposito del nuovo corso triennale che unisce moda e arti visive e dello spettacolo. Ma credo che il risultato disastroso del nuovo assetto sia anche il prodotto di una scelta gravemente sbagliata compiuta nel momento in cui si e’ deciso di spostare il claves nella classe di disegno industriale. Non ci ha guadagnato moda –corso di cui potevamo giustamente andare fieri!- che e’ sicuramente più povera di prima. E il corso di arti ne e’ uscito sfigurato: un solo corso di storia dell’arte contemporanea! Due corsi di storia del teatro affidati al medesimo docente! Scompaiono semiologia, storia della danza, storia del costume, storia delle fotografia (!!!), storia della scenografia. Ma, potevamo scommetterci, rimane Storia Contempranea! Laboratori ridotti di numero, normalmente compensati peggio di quelli di disegno industriale e, in alcuni casi, confusi con Workshops di cui non si capisce il carattere peculiare. Se il progetto, del resto più volte evocato nel corso degli ultimi mesi, era quello di uccidere il corso di aurea in arti visive e dello spettacolo, allora valeva la pena di farlo con maggiore coraggio e dignità. Perché la soluzione proposta manca, appunto, di dignità.

Probabilmente le mie responsabilità personali eccedono i miei meriti. Ho cercato di contribuire a una discussione generale, “di indirizzo”, sul futuro della facoltà e di IUAV. Ho anche, come alcuni colleghi tra cui il preside ben sanno, offerto la mia disponibilità a farmi carico di compiti organizzativi che mi sembravano coerenti con la mia qualificazione accademica e le mie esperienze passate. Non ho neppure avuto il piacere di una risposta negativa. Ho combattuto per rimediare all’errore madornale compiuto al momento della costituzione del dottorato interateneo di storia delle arti, ricevendo il riconoscimento pubblico, offertomi da Antonio Costa, che avevo avuto ragione! Ma colleghi come Claudio Longhi (di cui non ho mai avuto il piacere di conoscere l’opinione), Laura Corti e Francesca Castellani continuano pervicacemente a far prevalere i loro personali interessi e rendono inutili tutti gli sforzi fino ad oggi intrapresi.

Sono questi i  motivi che mi inducono a pensare che sia giusto risparmiare a voi e a me stesso l’esperienza penosa della mia partecipazione ai consigli di facoltà.

Con i miei migliori saluti

Marco/Ninni De Michelis