Siamo, consapevolmente o meno, in piena civiltà del consenso.
Il consenso, la necessità di avere un giudizio positivo da altri, anche da estranei, del nostro operato è uno dei driver più forti nei rapporti interpersonali, nella comunicazione d’impresa e nella politica.
Comportarsi secondo regole accettate è alla base di qualsiasi società organizzata.
Gli ordinamenti morali, sociali, politici e militari da sempre hanno usato il reciproco consenso.
Il consenso è alla base dei partiti politici e dei sindacati, degli spazi di democrazia e anche di quelli meno democratici.
Complessità
Rispetto al passato abbiamo un’importante, sostanziale variante: la complessità.
L’accelerazione delle attività umane, dovuta alla tecnologia, alla facilità dei trasporti, alla modifica delle dinamiche di forza ha spostato il tema sull’aumento delle interazioni.
Il digital ha costruito nuovi lavori, nuove opportunità ma ha esasperato la comunicazione e con essa l’interazione.
Abbiamo sempre maggiori dati, informazioni, sollecitazioni.
Credere di dominare la complessità attraverso una sua riduzione e una sua strutturazione ontologica è una falsa speranza.
Raccogliere, ordinare, classificare, sono state azioni alla base di ogni tentativo di creare enciclopedie e libri universali. La catalogazione si è scontrata con l’aumento esponenziale delle fonti. Il sogno dell’uomo di dominare quello che lo circonda, almeno dal punto di vista conoscitivo.
È stato vano cercare di frantumare la complessità in parti per riuscire a comprenderla, a gestirla.
La complessità può essere compresa solo attraverso un aumento della complessità stessa, aumentando gli elementi che agiscono sulla stessa.
Allontanarsi per guardare, cambiare prospettiva, scegliere altri parametri per valutare.
Ci hanno abituato a credere che il mondo fosse tutto conoscibile con i nostri sensi. Abbiamo poi scoperto gli infrarossi, gli ultravioletti, gli infrasuoni e gli ultrasuoni e poi tutte le frequenza che attraversano l’universo.
La fisica ha rivoluzionato il modo di sentire quello che accade.
Risposta
La risposta facile che rischiamo di ottenere è questo nuovo “ordine delle cose”.
Una ricerca di regole assolute su cui basare le scelte anche artistiche e di design.
La tentazione di usare il learning machine e le tecniche di intelligenza artificiale per rispondere e anticipare le scelte del mercato, per “piacere” al possibile cliente, sta appiattendo la ricerca formale, linguistica e artistica.
Anche l’industrial design sta subendo una deriva alla ricerca di consenso commerciale ed emozionale facile, sicuro, immediato.
Mai come adesso gli strumenti di analisi delle propensioni di acquisto dei clienti sono stati così forti e saranno determinanti nelle scelte stilistiche e commerciali dei produttori.
Abbiamo iniziato con la costruzione di meta-distretti per il vetro artistico di Murano, il cinema, i beni culturali, del food design, dell’industrial design e lo sport-fashion design. Sono luoghi di discussione e di ricerca. Una struttura che si pone speculare rispetto ai distretti produttivi, li supporta, li stimola, li rende competitivi. La complessità non si risolve con l’istinto creativo del singolo ma con una rete di idee di personalità, di identità.
Abbiamo deciso di iniziare una nuova esplorazione in altri ambiti: la storia, le arti, i viaggi, le tecnologie, le tecniche ma specialmente mettendo l’uomo e le sue passioni al centro.
Abbiamo appena iniziato questo viaggio e vi vorremmo con noi.
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Questo testo è alla base del lavoro di ricerca del Distretto Creativo dello Sport-Fashion Design e sarà parte del Pecha Kucha Night di Pontedera – Pisa in occasione di Creactivity.
Ringrazio il Prof. Riccardo Ali per il logo “Creatività del Consenso”.